2011

MACROwall: EIGHTIES ARE BACK! Vittorio Messina

25.06.201115.09.2011

a cura di Ludovico Pratesi

Vittorio Messina sarà il nuovo protagonista di MACROwall: Eighties are Back!, il progetto si propone di rileggere l’arte italiana degli anni Ottanta attraverso un ciclo di mostre personali di artisti rappresentativi delle diverse tipologie di ricerca che hanno caratterizzato la produzione del decennio.

Ogni artista è invitato a esporre su un’unica parete due opere, una storica e una recente, per permettere al pubblico di riscoprire la vitalità delle ricerche artistiche degli ultimi anni. Le opere sono accompagnate da schede redatte da due critici d’arte di diverse generazioni: il più giovane interpreta l’opera storica e viceversa. In questa occasione, verranno messe a confronto le opere “Balconi Meridionali” del 1987, interpretata da Guglielmo Gigliotti, e “Melancolia verticale” del 2011, letta da Laura Cherubini.

Vittorio Corsini: Xenia

25.06.201130.10.2011

a cura di Adriana Polveroni

L’installazione che Vittorio Corsini ha pensato per il terrazzo del MACRO coinvolgerà emotivamente lo spettatore in un singolare racconto sulla città di Roma. Attento all’organizzazione dello spazio, sviluppato intorno al tessuto sociale, l’artista renderà lo spettatore il reale protagonista dell’opera.

Il suo lavoro si sviluppa intorno a una riflessione sullo spazio dell’abitare, che viene analizzato privilegiando le caratteristiche concettuali più intime e poetiche, attraverso l’installazione di un comodo divano all’aperto. Come in un surreale giardino americano, delimitato da un recinto bianco, lo spettatore potrà sedersi su un divano ed ascoltare racconti e poesie sulla città di Roma, scritti e narrati direttamente da Melania G. Mazzucco e Valerio Magrelli.

MACROradici del contemporaneo: Bice Lazzari. L’equilibrio dello spazio

25.06.201130.10.2011

a cura di Luca Massimo Barbero e Francesca Pola

Promosso da Roma Capitale, Assessorato alle Politiche Culturali e Centro Storico – Sovraintendenza ai Beni Culturali

Protagonista del quarto appuntamento di “MACROradici del contemporaneo” è Bice Lazzari: una delle personalità più singolari dell’astrazione internazionale, che ha attraversato il XX secolo dall’astrattismo lirico degli anni Venti e Trenta alle soluzioni minimal degli anni Sessanta e Settanta, e che in questa occasione viene ripresentata all’attenzione del grande pubblico in tutta l’attualità della sua rigorosa e pionieristica visione artistica.

La mostra restituisce alla città di Roma un’artista che qui ha operato in modo straordinario, e come una grande autobiografia dell’opera di Lazzari ne conferma il ruolo anticipatore attraverso stagioni successive, per riscoprire la sua importante collocazione internazionale. Grazie alla collaborazione dell’Archivio Bice Lazzari, è stato possibile presentare una significativa selezione di opere su tela e su carta, molte delle quali inedite e mai esposte prima. Nel percorrere queste immagini segrete, esposte alle pareti o raccolte nelle speciali cassettiere MACRO, il visitatore viene immerso nella straordinaria creatività di Bice Lazzari, tra rigore strutturale e raffinata sensibilità cromatica, coniugati in spazi di intensa umanità.

Adrian Tranquilli: All is violent. All is bright

25.06.201130.10.2011

a cura di Gianluca Marziani

Promosso da Roma Capitale, Assessorato alle Politiche Culturali e Centro Storico – Sovraintendenza ai Beni Culturali

Il progetto di Adrian Tranquilli è un percorso narrativo che, attraverso due grandi installazioni ricche di sorprese e spiazzamenti, trasforma il Museo in un teatro di una lotta tra Batman e Joker, personaggi archetipici dall’universo iconografico dell’artista.

La figura di Batman, visibile già dall’esterno del Museo perché collocata nel punto più alto dalla terrazza, sopra il nuovo ingresso di via Nizza, si staglia sulle superfici sinuose dell’architettura di Odile Decq, mostrandosi come una presenza misteriosa nell’anfiteatro dei palazzi circostanti.

All’interno, sopra il tetto della sala conferenze, cuore rosso del museo, emerge in maniera inattesa l’altro momento della narrazione: la Basilica di San Pietro, costruita con migliaia di carte da gioco raffiguranti diverse “facce” di Joker, ripetute e alternate fino all’ossessione per creare un effetto quasi ipnotico. Giocando tra esterno e interno del MACRO, Tranquilli sospende il tempo e ricrea sensazioni ataviche, ritualità misteriose, rivelazioni e sconfinamenti. Una visione scultorea attorno ai temi e ai valori universali che caratterizzano la natura umana.

Roommates / Coinquilini: Guendalina Salini / Marinella Senatore

25.06.201130.10.2011

a cura di Benedetta Carpi de Resmini e Benedetta di Loreto

Promosso da Roma Capitale, Assessorato alle Politiche Culturali e Centro Storico – Sovraintendenza ai Beni Culturali

Al via il quarto appuntamento del ciclo di mostre roommates / coinquilini, progetto con cui il Museo si apre all’attività di giovani artisti e curatori della scena romana. In questa occasione Guendalina Salini e Marinella Senatore, trasformano lo spazio espositivo in un teatro dell’anima e della memoria, riflettendo sulle diverse realtà legate alla comunità cittadina.

Guendalina Salini, con l’opera “Non troverai mai i confini dell’anima”, compone un grande mandala di regoli colorati, una struttura simile alla griglia scomposta di una città, sorta di disegno impermanente e giocoso, che rimanda alle figure orientali eseguite con la sabbia colorata per creare un diagramma circolare dal valore simbolico. Marinella Senatore costruisce invece un “teatro della memoria” dal titolo “Electric Theatre”, in cui interpreta le storie, gli aneddoti e le testimonianze su memorie di eventi e movimenti del passato.

Tomas Saraceno: Cloudy Dunes. When Friedman meets Bucky on Air-Port-City

25.06.201106.11.2011

Promosso da Roma Capitale, Assessorato alle Politiche Culturali e Centro Storico – Sovraintendenza ai Beni Culturali

Progetto speciale che l’artista argentino Tomas Saraceno ha concepito per la grande sala Enel, sviluppando il proprio dialogo con Yona Friedman e le teorie di Richard Buckminster Fuller.

Con quest’opera, l’artista reinterpreta completamente lo spazio MACRO, trasformandolo in una “città aeroporto”, come se fosse “una nuvola di sabbia” in grado di fecondare l’ambiente, la vita sociale e le menti. Attraverso l’interazione tra l’installazione – oltre 500 dodecaedri costituiti da 18 km di tubi per cavi elettrici – e immagini video realizzate nello straordinario paesaggio naturale del Lencois Maranhenses Park nel nord del Brasile, Saraceno trasforma i 1200 mq della sala espositiva in uno straordinario universo fluttuante e sospeso, in cui il visitatore potrà fondersi con nuove forme e immagini e scoprire nuovi modi di vivere, viaggiare e comunicare.

Riccardo De Marchi: Fori Romani

25.06.201130.10.2011

a cura di Luca Massimo Barbero ed Elena Forin

Promosso da Roma Capitale, Assessorato alle Politiche Culturali e Centro Storico – Sovraintendenza ai Beni Culturali

In un gioco tra ironia, citazione e scrittura, Riccardo De Marchi costruisce per una sala del MACRO una mostra che coniuga lo spazio dell’individuo e quello dell’opera.

Da sempre interessato al racconto come traccia di contenuti, figurazione e metodo per penetrare la realtà, l’artista espone una serie di lavori, tra cui copertine di dischi, e interviene direttamente sulla superficie del museo perforando la parete di fondo della sala, che diventa quindi, al pari delle opere in alluminio, acciaio e plexiglass, una possibile dimensione per la sua scrittura “marziana”. Scegliendo il foro e la perforazione come punto di partenza per l’analisi delle cose, e divertendosi a “mappare liberamente varie eredità – da Fontana, a Derrida e Pollock” De Marchi elabora un linguaggio indecifrabile, che tra le note e il ritmo di una nuova incisione musicale, gli spazi delle luci e delle ombre, la presenza e il gioco del nulla sulle superfici, si offre al pubblico come una inedita e curiosa biografia.

1900-1959: i luoghi dell’arte “contemporanea” a Roma dalle collezioni del CRDAV. Una selezione.

25.06.201130.10.2011

a cura di MACRO – CRDAV, Centro Ricerca e Documentazione Arti Visive

Promosso da Roma Capitale, Assessorato alle Politiche Culturali e Centro Storico – Sovraintendenza ai Beni Culturali

Una mostra per riscoprire la vitalità dell’arte “contemporanea” nella Capitale dal 1900 al 1959, attraverso lo straordinario materiale documentario del Centro Ricerca e Documentazione Arti Visive del MACRO, esposto nelle cassettiere della Biblioteca.

L’esposizione è costituita da una successione cronologica di cataloghi rari, pieghevoli, inviti, locandine, che ricostruiscono “un mondo”: quello in cui, frequentando certi luoghi espositivi, certe gallerie, certi caffè, certe librerie, certe trattorie si incontrava tutto l’universo letterario e artistico di quegli anni.

L’esposizione è suddivisa in due sezioni: 1900-1959: dal Palazzo delle Esposizioni a L’Obelisco e 1950-1959. Gli anni originali a ciascuna delle quali è dedicata una cassettiera. La mostra è completata da una sezione di approfondimento che propone alcune pubblicazioni antologiche edite dalle stesse gallerie, relative alla loro attività nel corso degli anni, riproduzioni anastatiche di cataloghi pubblicati in occasione delle mostre, monografie attinenti al tema della mostra e alcuni periodici d’arte (da Emporium a Spazio).

SNØHETTA, architettura – paesaggio – interni

07.07.201114.08.2011

a cura di Gennaro Postiglione (DPA – Politecnico di Milano / Facoltà di Architettura e Società), Nicola Flora (SAD – Scuola di Architettura e Design “E. Vittoria” / Ascoli Piceno)

promossa da Politecnico di Milano in collaborazione con Reale Ambasciata di Norvegia a Roma

MACRO Testaccio

In mostra le opere e i progetti di Snøhetta, studio-icona dell’architettura contemporanea norvegese, fondato a Oslo 20 anni fa da cinque giovani architetti.

Plastici, film, disegni e fotografie si concentrano sui progetti più significativi, partendo dalla Biblioteca di Alessandria d’Egitto fino all’Opera House di Oslo, concepita non come un singolo edificio ma come un candido ondulato paesaggio urbano da vivere; dalle forme organiche del King Abdulaziz Centre for Knowledge and Culture in Sud Arabia al Padiglione del Memoriale dell’11 Settembre a New York; fino all’incredibile “tromba” in membrana plastica ideata come padiglione smontabile per il più importante festival di jazz in Norvegia.

Un tavolo interattivo consente ai visitatori di ottenere tutte le informazioni desiderate anche sugli altri progetti dello studio.

Lo Studio Snøhetta
Quando più di 20 anni fa cinque giovani architetti (tre norvegesi, un austriaco e un americano) decisero di aprire insieme lo studio a Oslo e decisero di chiamarlo Snøhetta, il nome di una delle cime più alta della Norvegia, certo non potevano immaginare che lo studio sarebbe non solo diventato il più importante del Paese ma che sarebbe entrato nella rosa dei protagonisti dell’architettura internazionale contemporanea.
Chiave del loro successo, l’idea di fondere nei loro progetti architettura e paesaggio (4 di loro erano specializzati in architettura del paesaggio).

Area Norway. Mellom himmel og jord / Tra terra e cielo

07.07.201115.08.2011

a cura di Gennaro Postiglione (DPA – Politecnico di Milano/Facoltà di Architettura e Società), Nicola Flora (SAD – Scuola di Architettura e Design “E. Vittoria”/Ascoli Piceno)

promossa da Politecnico di Milano in collaborazione con Reale Ambasciata di Norvegia a Roma

MACRO Testaccio

La mostra presenta Oslo e la Norvegia attraverso un viaggio che iniziando dalla capitale nordica si spinge verso il lontano nord, per raccontare di un paese che non coincide con la sua città più importante.

A dispetto della sua estensione enorme, la Norvegia infatti si impone come sistema a rete in grado di far parlare anche gli angoli più reconditi del paese. Complice sicuramente l’ambizioso progetto di valorizzazione di 18 nuove strade panoramiche che si snodano in alcuni dei più suggestivi e iconici paesaggi norvegesi, evocando e mettendo insieme non solo natura e architettura, ma anche pittori e scrittori che di alcuni di quei luoghi hanno contribuito a costruire il mito (basti pensare a quelli fissati nelle descrizioni del Per Gynt di Ibsen o all’iconico paesaggio immortalato da Harlad Solhberg nel suo ‘Vinternatt i Rondane’ – Notte invernale a Rondane -).

La raccolta di luoghi, storie, persone, architetture, restituisce l’immagine di una caleidoscopica Norvegia utile anche come cornice di contestualizzazione, geografica e culturale, alla mostra monografica dedicata ad uno dei più grandi e internazionali studi norvegesi, Snøhetta, esposta in contemporanea negli stessi spazi del MACRO-Testaccio.

“Area Norway” presenta infatti il lavoro di oltre venti studi di architettura norvegesi: da Knut Hjeltnes a Carl-Viggo Hølmebakk, da Reiulf Ramstad a Jensen&Skodvin, da Space Group a BKARK, e tanti altri ancora, molti dei quali poco noti in Italia. Eredi, in modo diverso, della lezione di Sverre Fehn, il grande maestro recentemente scomparso, ma anche di Wenche Findal, Christian Norberg Schulz e, soprattutto per le generazioni dei più giovani, della capacità tutta nordica di saper coniugare locale e globale con estrema libertà e ironia, sfruttando al meglio le possibilità offerte da un paese che ha sempre creduto nell’investimento sui giovani e nella promozione dell’architettura.

Three Amigos: Dash Snow

20.09.201111.12.2011

a cura di Massimo De Carlo con il coordinamento di Ludovico Pratesi

Massimo De Carlo, con il coordinamento di Ludovico Pratesi, porta a Roma Three Amigos, un progetto inedito, unico nel suo genere, che vede esporre in tre mostre personali distinte tre giovani artisti americani di fama internazionale, Dan Colen, Nate Lowman e Dash Snow, rispettivamente a Palazzo Rospigliosi, all’American Academy in Rome e al MACRO.

Tre luoghi significativi, simbolo dell’anima storica, formativa e contemporanea di Roma, diventano sedi privilegiate in cui gli artisti sviluppano tre distinti progetti pensati e realizzati in relazione alla natura specifica dei luoghi.

Utilizzando una telecamera Super8, Dash Snow ha spesso ripreso i momenti con la sua compagna e la figlia, Secret Snow. E’ questo il caso di Sisyphus, Sissy Fuss, Silly Puss esposto nella sala al livello 3 del MACRO: un video di 13 minuti, realizzato nel 2009, in cui una madre – la compagna dell’artista – assieme alla figlia passeggiano sole in aperta campagna, attraversando boschi e campi assolati. La tecnica, l’assenza dell’audio e fondamentalmente di una trama, l’immagine sfocata e il soggetto delineano una situazione in cui il tempo sembra sospeso, una realtà che assomiglia più ad un sogno, un attimo che si vorrebbe durasse in eterno.

Questa al MACRO è la prima mostra personale dell’artista in un museo.

Le opere di Dash Snow (nato a New York nel 1981. Deceduto a New York nel 2009) sono presenti nelle collezioni del
Whitney Museum of American Art di New York, della Fundación/Colección Jumex, Ecatepec, Mexico e della Saatchi
Gallery di Londra. Anche dopo la sua scomparsa, le sue opere hanno continuato ad essere esposte in mostre in tutto il
mondo: fra le più recenti Parallel Perceptions presso la New York City Opera di New York (2011); New York
Minute: 60 Artisti della scena newyorchese, MACRO Future, Roma (2009); Scorpio’s Garden, a cura di Kirstine
Roepstorff presso la Temporare Kunsthalle di Berlino (2009); Babylon. Myth and Truth, presso il Pergamon Museum
di Berlino (2008) e Materialized: New American Video and…, a cura di Kathy Grayson presso la Kunsthalle di Bergen
(2008).

FotoGrafia. Festival Internazionale di Roma (X edizione)

23.09.201123.10.2011

Promosso dall’Assessorato alle Politiche Culturali e Centro Storico – Sovraintendenza ai Beni Culturali, Dipartimento Cultura di Roma Capitale e dalla Camera di Commercio di Roma, con la produzione di Zétema Progetto Cultura e la direzione artistica di Marco Delogu

MACRO Testaccio

Con il contributo
Banche tesoriere di Roma Capitale: BNL Gruppo BNP Paribas, Unicredit, Banca Monte dei Paschi di Siena

Sito Web
www.fotografiafestival.it

Il tema di questa edizione del festival è “MOTHERLAND”, madre terra, spunto che intende stimolare un’analisi del rapporto tra terra ed identità, territorio e valori, radici e complessità del vivere contemporaneo, con un’attenzione particolare alla nostra penisola che quest’anno festeggia i suoi primi 150 anni d’unità.

Il Festival intende così affrontare il particolare rapporto che si crea tra la fotografia e il territorio nell’accezione più profonda, basata su un’analisi autentica della forte relazione tra gli autori e l’appartenenza a un luogo e, in molti casi, l’identificazione stessa. Ognuno risponde a suo modo: indaga terre di sua appartenenza, vecchie o nuovissime, grandi o piccole, reali o virtuali, con una documentazione assolutamente personale, frutto della propria vita e della necessità di tornare o di allontanarsi. ‘Motherland’ è un tema indagato e diffuso nella fotografia e noi lo ricerchiamo oggi in relazione alla creazione di sempre nuove identità in un mondo ormai completamente esplorato e tecnologizzato dove però ritorna molto forte il bisogno di indagare nuove “terre”, cercare la propria terra.

Gli spazi di MACRO Testaccio ospiteranno diverse mostre che racconteranno il rapporto tra i fotografi e le loro “motherlands” o terre d’adozione.

Coinvolte anche numerose gallerie, accademie internazionali e sedi espositive che presenteranno progetti in linea con il tema.

Il 23 e il 24 settembre saranno organizzati incontri, lectures & workshop, presentazioni e proiezioni di fotografie per favorire l’incontro di appassionati e curiosi con tutta la comunità fotografica internazionale, nazionale e romana presente a Roma in quei giorni.

Giunge alla nona edizione il prestigioso appuntamento con la COMMISSIONE ROMA, che ogni anno chiede ad un importante fotografo internazionale di ritrarre Roma in totale libertà. Quest’anno sarà presentato il lavoro di Alec Soth “LA BELLE DAME SANS MERCI” a cura di Marco Delogu. Il titolo della mostra prende spunto da un verso di John Keats che ha ispirato il lavoro del grande fotografo americano, universalmente riconosciuto come uno dei grandi protagonisti della fotografia on-the-road praticata da Walker Evans, Robert Frank e Stephen Shore.

– “MOTHERLAND”, collettiva a cura di Marco Delogu, che raccoglie lavori mai esposti in Italia di importanti fotografi internazionali: Alec Soth, Tim Davis, Guy Tillim, David Spero, Leonie Purchas, David Farrell, Tod Papageorge, Paolo Ventura, Antonio Biasiucci, Anders Petersen e Guido Guidi

– TRE MOSTRE COLLETTIVE DEI CURATORI DEL FESTIVAL SUL TEMA MOTHERLAND
“WHEREVER I LAY MY CAMERA DOWN IS HOME” a cura di Paul Wombell presenta il lavoro di 5 fotografi che hanno realizzato opere sul bisogno di trovare asilo
“DATASCAPES” a cura di Valentina Tanni mette a confronto il lavoro di due artisti, Mathieu Bernard-Reymond e Rick Silva, che da anni si sforzano di interpretare e dare senso al “panorama informativo” contemporaneo
“THE PLACE WHERE I BELONG” a cura di Marc Prust espone il lavoro di quattro fotografi alla ricerca della propria identità nelle rispettive madrepatrie.

La quarta edizione del PREMIO IILA FotoGrafia per la giovane fotografia latinoamericana. All’interno del MACRO Testaccio verrà presentato il lavoro su Roma del vincitore dell’edizione 2010 Pablo Lopez Luz, mentre verrà proiettata la selezione del vincitore e dei finalisti del Premio IILA 2011. Il vincitore, Alejandro Nicolás Sanín, trascorrerà un mese di residenza all’IILA per realizzare un progetto su Roma, in mostra nel 2012 al Festival.

– “MIZU NO OTO” Sound of Water, opere di Rinko Kawauchi, Lieko Shiga, Asako Narahashi,Yumiku Utsu, Mayumi Hosokura a cura di 3/3 in dialogo con Rinko Kawauchi

– “NEW DUTCH STORYTELLER” a cura di Rob Hornstra, opere di Willem Popelier, Anne Geene, Anna Dasovic e Rob Hornstra. Mostra in co-produzione con l’Ambasciata del Regno dei Paesi Bassi

– Otto personali di artisti italiani emergenti e non:
Stefano Graziani (a cura di Francesco Zanot)
Alessandro Imbriaco (a cura di Renata Ferri)
Lorenzo Maccotta (a cura di Giovanna Calvenzi)
Francesco Millefiori (a cura di Stefano Ruffa)
Valentina Vannicola (a cura di Benedetta Cestelli Guidi)
Rodolfo Fiorenza (a cura di Francesca Bonetti)
Francesco Fossa (a cura di Valentina Bonomo)
Giorgio de Finis (a cura di Silvia Litardi)

Infine, due importanti novità di questa edizione:
– la proiezione di 15 progetti selezionati tra quelli che hanno partecipato alla CALL FOR ENTRY 2011, indetta dalla direzione artistica del Festival per promuovere la visibilità di giovani fotografi emergenti provenienti da tutto il mondo;
– il concorso WINE WIEVS in collaborazione con il Gambero Rosso e Art Tribune: la ricerca di nuove immagini per sviluppare un rapporto sempre più stretto tra il mondo dell’arte e quello del vino.

Anche ALTRE SEDI ESPOSITIVE partecipano al festival con diversi progetti:

– “IL GIARDINO GIAPPONESE”, all’Istituto Giapponese di Cultura, collettiva (dal 1 settembre al 1 ottobre).
– “METAMORPHOSIS. IL GIAPPONE NEL DOPOGUERRA”, all’Istituto Giapponese di Cultura, collettiva
– 100″ CLICK FOR CHANGE a Palazzo Valentini group show a cura di Benedetta Donato e Aleardo Nardinocchi per pianoBI (16 settembre – 30 settembre)
– “GAIJIN” allo Spazio Cerere foto di David Favrod a cura di Alessandro Dandini de Sylva (21-24 settembre)
– “SOTTO COPERTA – LOWER DECK” al Museo Civico di Zoologia foto di Christian Saupper a cura di Carla Marangoni (22 settembre – 23 ottobre)
– “BAS PRINCEN” alla Casa dell’Architettura a cura di Giampiero Sanguigni, Giuliano Sergio (dal 23 settembre all’8 ottobre)
– “AEROIMPRESSIONISMO” all’Auditorium Parco della Musica foto di Sergey Yastrzhembskiy a cura di Olga Sviblova (dal 5 al 24 ottobre)
– “UNA VITA SURREALE” al Museo Carlo Bilotti Aranciera di Villa Borghese foto di Milton Gendel a cura di Peter Benson Miller, Barbara Drudi e Alberta Campitelli (dal 5 ottobre all’8 gennaio 2012)
– “SUSPENCE-FOTOGRAFIE DI TIM PARCHIKOV” al Museo di Roma in Trastevere (dall’8 ottobre al 13 novembre 2011)
– “ALEKSANDR RODČENKO” al Palazzo Esposizioni retrospettiva di Aleksandr Rodčenko a cura di Olga Sviblova (dal 10 ottobre all’8 gennaio)
– “TERRITORIO DI LUCE” all’Ecole Francaise de Rome foto di Bernard Plossu e altri a cura di Ecole Française e Livre Lecture (dal 10 al 28 ottobre)
– “CONTROSPAZIO” all’Istituto Centrale per il catalogo e la documentazione foto di Antonio di Cecco a cura di Leonardo Palmieri

Anche quest’anno, inoltre, le più prestigiose ACCADEMIE INTERNAZIONALI partecipano al programma presentando alcuni progetti realizzati appositamente per il festival:
l’Accademia di Francia a Roma – Villa Medici aprirà anche questa edizione del Festival con l’anteprima della mostra “ÉRIC POITEVIN – PHOTOGRAPHIES” di Eric Poitevin a cura di Eric de Chassey, inaugurazione 22 settembre ore 18
l’American Academy in Rome con la mostra “RITRATTI” di Milton Gendel a cura Peter Benson Miller (19 ottobre – 30 novembre)
la Reale Accademia di Spagna con una collettiva “PANDORA” a cura di Masasam, collettivo di giovani curatrici spagnole (23 – 30 ottobre).

FotoGrafia coinvolge, infine, un importante numero di GALLERIE E SPAZI ESPOSITIVI selezionati per il CIRCUITO 2011:
– 10B Photography — Yury Kozyrev, ‘ON REVOLUTION ROAD’.
– Buchineri — Emanuela Bongiovanni, ‘HOTEL LEDYR’.
– Camera 21 — Karmen Corak, ‘AWARE’.
– CO2 Contemporary Art — Marco Morici e Ignazio Mortellaro, ‘OSSIDIANA’.
– Doozo — Jeannette Montgomery Barron, ‘MY MOTHER’S CLOTHES’.
– Editalia — Nicola Brandt, ‘WLOTZKASBAKEN’.
– Ex Elettrofonica — Ottavio Celestino, ‘NATURE MECCANICHE’.
– Franz Paludetto — Daniela Perego, ‘MOTHERLAND’.
– Galleria del Cortile | Archivio Sante Monachesi — group show ‘MADRETERRA’.
– Galleria Gallerati — group show, ‘FLICKRLAND: THE MOTHERLAND OF MEMORIES’.
– Galleria Maria Grazia del Prete — Marek Piasecki, ‘DOES THE INVISIBLE OBSERVER LEAVE TRACES?’.
– Galleria Valentina Bonomo presso Studio Corrias Lucente — Chiara Caselli, ‘TERRA MADRE’.
– Marte | Ilex Photo — Paolo Patrizi, ‘STARLINGS’.
– Palazzo Maffei Marescotti — Thomas Munns, ‘HEIMAT’.
– Metropoliz — Guendalina Salini, ‘DOVE COMINCIA IL LONTANO’.
– Spazio MuGa + Merzbau — Andrea Papi, ‘PASSAGGI. AUTORITRATTI DELL’INVISTO’.
– Spazio Nuovo — Olivier Roller, ‘FIGURE DI POTERE’.
– s.t. — ‘Useful Portraits’. Olivier Thebaud, ‘HOME IS NOT A PLACE’. TANO D’AMICO, ‘DISORDINI’.
– Studio Orizzonte — Paolo Gioli, ‘NATURAE’.
– Whitecubealpigneto gallery — Nicole Voltan, ‘SISTEMA ENTROPIA’.

Massimo Grimaldi: Finally

11.10.201131.12.2011

MACRO presenta nei propri spazi la nuova estensione del progetto Postcard from…, promosso dalla Fondazione Pastificio Cerere e ideato dal suo direttore artistico Marcello Smarrelli. Nel foyer del museo viene esposta l’opera Finally di Massimo Grimaldi, un
racconto poetico sulla figura dell’artista inserito nel contesto di un grande cartellone pubblicitario.

Il progetto della Fondazione Pastificio Cerere Postcard from…, si propone di diffondere l’arte contemporanea nel contesto urbano attraverso la disseminazione di manifesti ideati da artisti in luoghi diversi della città di Roma. Realizzato grazie al supporto di A.P.A. – Agenzia Pubblicità Affissioni – il progetto è fondato sul dialogo tra spazio pubblico e produzione artistica contemporanea.

L’opera testuale Finally di Massimo Grimaldi (Taranto, 1974), installata nell’ impianto da cartellone pubblicitario di 4 x 3 metri, sarà affissa nel foyer del nuovo MACRO ideato da Odile Decq, uno spazio da lei stessa concepito come punto nevralgico del museo e allo stesso tempo come luogo “urbano” di attraversamento pubblico. L’opera di Grimaldi sottolinea così la fluida identità dello spazio MACRO e conferma la volontà del museo di portare al proprio centro la figura e la produzione dell’artista.

La struttura della cartellonistica pubblicitaria, normalmente associata a immagini promozionali o messaggi commerciali, viene trasformata in un veicolo capace di comunicare altro. Finally fa parte di una serie di lavori che Grimaldi sta portando avanti dall’inizio della propria carriera artistica: un insieme di testi al tempo stesso poetici e disorientanti, incentrati sulla figura dell’artista, il suo ruolo nella società, la sua identità di individuo tra solitudine e relazioni con l’altro. La successione delle frasi e l’utilizzo della prima persona singolare permettono a ciascun osservatore di costruire le proprie connessioni immaginarie, attivando così una nuova soglia di attenzione.

“I miei lavori non sono tigri ruggenti, sono più simili alle sabbie mobili che le risucchiano”, ha scritto Grimaldi. In questo vortice infinito, capace di far perdere l’orientamento e di aprire a nuove prospettive sulla realtà, l’artista suggerisce una riflessione sull’amore e il desiderio, sulla meraviglia e il cambiamento, su un destino aperto e “acquoso” in cui l’artista e l’individuo vivono sospesi tra la
bellezza e il fallimento. “Credo di lavorare per capire la mia relazione con gli altri”: il manifesto, con le sue lettere grigio chiare che quasi scompaiono sul fondo bianco, costringe l’osservatore a un rapporto intenso e diretto con l’opera, a specchiarsi in essa per riconoscere se stesso e l’altro.

Grazie a questo importante progetto si rafforza la collaborazione tra MACRO e la Fondazione Pastificio Cerere, già consolidata con il programma di residenze 6Artista: un dialogo intenso e continuo tra due istituzioni impegnate nella diffusione della contemporaneità e nella formazione del pubblico e degli artisti.

Marco Tamburro. Life Live

27.10.201120.11.2011

a cura di Luca Beatrice

MACRO Testaccio

In esposizione circa 30 opere, pittoriche e fotografiche, dell’artista perugino Marco Tamburro.

Il lavoro pittorico dell’artista, è stato inizialmente influenzato dalla sua grande passione per la fotografia. Nel corso del tempo Tamburro ha ridotto progressivamente nelle proprie opere l’uso di ritagli fotografici, una scelta determinata dalla consapevolezza di aver ormai scelto come mezzo espressivo principale la pittura, in cui le campiture di bianco e di nero, a volte interrotte da squarci accesi di rosso, esprimono al meglio la trasfigurazione di quel “teatro di vita” che egli vuole rappresentare.

Luca Beatrice, curatore della mostra, nel testo in catalogo edito da Il Cigno GG Edizioni, scrive: “Pur essendo pittura che genera dall’astrazione, con rimandi al vorticismo e all’ipercinetismo futurista, quello di Marco Tamburro è un lavoro dalla forte componente autobiografica, persino letteraria. Gesti e movimenti si mescolano di continuo a un vissuto improntato sulla storia personale e, metaforicamente, sul destino dell’artista. Dietro di sé si agita il mondo come scosso da una spirale, da cui rischiamo di essere travolti ma che ci affascina e in fondo rappresenta l’unica possibilità concreta di esistenza. Aggiungere caos al caos. Moltitudini reali e immaginarie, perdita dell’orientamento, scherzo sul proprio destino (il clown, lo schermo disturbato). Di questa mostra “La mia vita” è il quadro chiave, citando una vecchia canzone “è l’uomo che si gioca il cielo a dadi.”

Nel corso della Mostra, l’artista in collaborazione con il Ministero della Gioventù realizzerà due importanti workshop dedicati ai giovani: saranno coinvolti gli alunni di alcune scuole romane alle quali, tramite visite guidate, verrà data la possibilità di visitare la mostra e di scoprire il processo creativo di un’opera d’arte attraverso la performance live dell’artista. I workshop saranno preceduti da un dibattito in presenza del Ministro della Gioventù Giorgia Meloni. Il primo si svolgerà nella settimana di apertura ed il secondo nella settimana di chiusura della mostra.

Alla chiusura della mostra, l’esposizione delle opere continuerà all’interno della 6° Senso Art Gallery in Via dei Maroniti, 13.

MACROWALL / EIGHTIES ARE BACK! Vittorio Corsini

16.12.201006.02.2011

a cura di Ludovico Pratesi

Promosso da Roma Capitale, Assessorato alle Politiche Culturali e della Comunicazione – Sovraintendenza ai Beni Culturali

Con il supporto di SPEDART

Immagine: Vittorio Corsini, Paesaggio, 2010
Quarto appuntamento di MACROwall: Eighties are Back!, il progetto che si propone di rileggere l’arte italiana degli anni Ottanta attraverso un ciclo di mostre personali di artisti rappresentativi delle diverse tipologie di ricerca che hanno caratterizzato la produzione del decennio. Questa volta protagonista è lo scultore Vittorio Corsini (Cecina, Livorno, 1956).

Il lavoro di Vittorio Corsini si sviluppa intorno a una riflessione sullo spazio dell’abitare, che viene analizzato privilegiando le caratteristiche concettuali più intime e poetiche, attraverso una serie di opere realizzate con materiali diversi, che vanno dalla corda al vetro, dal ferro alla plastica.
Le due opere presentate al MACRO corrispondono a una ricerca che unisce la scultura al disegno sotto il segno del paesaggio urbano, interpretato dall’artista sia come repertorio di forme simboliche e archetipali sia in senso cartografico e concettuale.

Per documentare i primi esiti della ricerca di Corsini è stata scelta l’opera Albero (1991) proveniente dalla collezione Sargentini, esposta per la prima volta in occasione di una mostra alla galleria L’Attico di Roma, e riproposta nel 2009 nell’esposizione “Arte Natura/Natura Arte” presso il Palazzo Fabroni di Pistoia. Si tratta della sagoma di un albero realizzata con corda ancorata alla parete con staffe in acciaio, che ricorda nella sua essenzialità le sinopie degli affreschi medievali.

L’opera recente è Paesaggio (2010), un lavoro che testimonia le ultime direzioni di Corsini: un grande disegno che rappresenta un paesaggio stilizzato dove l’artista ha apposto una serie di nomi propri, corrispondenti alle abitazioni presenti sulla porzione di territorio toscano che ha ispirato l’opera.

Le opere Albero e Paesaggio, presentate rispettivamente da Lorenzo Bruni e Alberto Mugnaini, compongono un MACROwall che occupa un’intera parete di una delle sale del museo, per creare un percorso in grado di documentare l’evoluzione stilistica della ricerca di Vittorio Corsini.

Vittorio Corsini è nato a Cecina (LI) nel 1956. Vive e lavora tra Firenze e Milano. Le persone sono il suo materiale preferito e per questo ama definirsi scultore. Nei suoi progetti l’attenzione è rivolta all’organizzazione dello spazio, sviluppato intorno al tessuto sociale, e le opere divengono parte integrante dell’ambiente umano piuttosto che fisico. Le installazioni reinventano la percezione dei luoghi e coinvolgono chi li abita, rendendo le persone protagoniste attive delle opere. Rimandano a questi processi opere pubbliche come Parma 33# (2009) per l’omonima strada di Torino, Codice rosso (2008) per la città di Milano, e quelle che l’artista chiama “opere-evento”, fondate sulla partecipazione dei visitatori, in cui l’arte è pretesto di condivisione di più profondi stati dell’essere. Tra le mostre personali recenti, si ricordano “Esercizio 1” presso Corsoveneziaotto di Milano, “Orange mood ” per la galleria Alessandro Bagnai di Firenze nel 2009, “Walkabout”’ per Santa Maria della Vita a Bologna nel 2008, “GOD Save THE PEOPLE” per l’ ex chiesa di San Matteo a Lucca e la galleria Claudio Poleschi arte contemporanea nel 2007, “ALLELUJA” presso Palazzo delle Papesse Centro Arte Contemporanea di Siena nel 2002.
Tra le numerose collettive cui ha partecipato ricordiamo: “Lo spazio del sacro” alla Galleria Civica di Modena, “La scultura del XXI secolo” presso la Fondazione Pomodoro di Milano, “Arte Natura/Natura Arte” a Palazzo Fabroni di Pistoia nel 2009, “ANNI LUNARI” presso la Galleria l’Attico di Roma nel 2007, “Continuità. Arte in Toscana,1990/2000” presso il Centro per l’Arte Contemporanea Luigi Pecci di Prato nel 2002.

TRECCANI SOTTOLIO. BENEDETTO MARCUCCI

16.12.201006.02.2011

Promosso da Roma Capitale, Assessorato alle Politiche Culturali e della Comunicazione – Sovraintendenza ai Beni Culturali

Vent’anni fa, quando cominciarono a diffondersi i supporti digitali Benedetto Marcucci fece il primo libro sottolio. I libri scelti, tranne rare eccezioni, erano sempre classici: romanzi, saggi o manuali che hanno segnato la cultura occidentale. Vedendo un sottolio non si capisce se abbia un significato negativo o positivo: questa ambiguità è volutamente irrisolta.
Oggi realizza e presenta al MACRO – Museo d’Arte Contemporanea Roma – un progetto pensato negli anni Novanta ma mai realizzato: la Treccani sottolio.

L’Enciclopedia Italiana, probabilmente l’impresa scientifica più imponente di tutta la storia culturale nazionale, nell’epoca di Wikipedia, vive evidentemente un momento critico. Non per questo, secondo Marcucci, deve esser dimenticata in qualche cantina o lasciata morire in uno scaffale: al contrario deve essere conservata.
In questo rapporto tra elevazione a reliquia e inattualità, ma anche nella paradossale impossibilità di essere letta, sta la filosofia dell’installazione.

Scrive Umberto Croppi nel catalogo: “Potremmo dedicare questa installazione, quest’opera, quest’evento a Salvatore Settis e a tutti quelli che considerano ogni forma d’uso, di contatto, di godimento, perfino ogni sguardo un affronto alla sacralità dell’oggetto. Non è un’azione esemplare, una provocazione intellettuale. Non è nemmeno un gesto d’artista, Marcucci non arriva a prendersi così sul serio, tanto che il suo lavoro principale continua ad essere un altro. Proprio per tutto questo la sua opera aspira a essere qualcosa di più: un’opera d’arte”. E aggiunge Marco Ferrante: “Per Benedetto Marcucci, nella teoria generale del libro sott’olio, il progetto della Treccani racchiude tutte le caratteristiche fondanti, ma in forma larga. È un’idea, ma diventa simbolica: ai tempi della digitalizzazione, niente più di una enciclopedia in volumi dà la misura del feticismo culturale della modernità, dunque va sott’olio perché la si usa sempre meno. Inoltre, non è semplicemente un oggetto, ma un intero scaffale di oggetti.

Ed è difficile stabilire – da questo punto di vista – il grado di parentela tra la Treccani sottolio e il barattolo singolo, più estemporaneo, artigianale, e in un certo senso personale perché dedicato e perché domestico, come tutte le conserve del resto”.

L’artista
Benedetto Marcucci, 43 anni, romano. A vent’anni conosce Mario Schifano e ne diventa assistente. Partecipa a varie collettive e nel 1992 esordisce al Salone del Libro di Torino in una personale, con la serie Sottolî. Nel 1993 allestisce a Roma Esprimersi con i piedi per lo Studio Morbiducci. Nel 1999 è alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna con un’ opera di una serie rimasta incompiuta: Nuda famiglia. Da allora ha realizzato vari lavori senza mai esporli. Giornalista professionista, ha lavorato per varie testate: liberal, Il Foglio, Il Giornale, Vanity Fair. È autore di trasmissioni per le reti 1 e 2 della RAI. Già Capo ufficio stampa e portavoce del Ministero per i Beni e le Attività Culturali. Oggi, oltre all’attività giornalistica, è consigliere della Presidente della Commissione Cultura della Camera dei Deputati.

PLUS ULTRA. Opere dalla Collezione Sandretto Re Rebaudengo

18.12.201020.03.2011

a cura di Francesco Bonami

MACRO Testaccio

Con la collaborazione di Fondazione Sandretto Re Rebaudengo
Con il supporto di Gioco del Lotto – Lottomatica

Immagine: Piotr Uklanski, Untitled (Monster), 2009 

Per la prima volta a Roma, una collettiva dalla collezione di Patrizia Sandretto Re Rebaudengo, con una importante selezione di artisti italiani e internazionali che hanno tracciato la storia dell’arte contemporanea dagli anni Ottanta a oggi.
La mostra presenta trentotto artisti con opere di pittura, scultura, video, fotografia, installazioni, creando un percorso articolato e approfondito sui linguaggi e le idee dell’arte di oggi. Fra i nomi presenti: John Bock, Thomas Demand, Damien Hirst, Pawel Althamer, Carsten Höller, Sarah Lucas, Tobias Rehberger, Piotr Uklanski, Cerith Wyn Evans, Giuseppe Gabellone, Diego Perrone, Paola Pivi e Patrick Tuttofuoco.

La Collezione è stata costruita raccogliendo opere di artisti prima che molti di loro esplodessero sul panorama internazionale con mostre nei principali musei e collezioni private del mondo.
Un percorso di vent’anni di collezionismo, affiancato dalle ultime acquisizioni, con le opere di Tauba Auerbach, Hans-Peter Feldmann, Jon Kessler, Robert Kusmirowski, Goshka Macuga, Hugo Markl, João Onofre, Bojan Sarcevic, Piotr Uklanski.

PLUS ULTRA è accompagnata da un catalogo bilingue (italiano-inglese) edito da Marsilio Editori, con un’intervista di Luca Massimo Barbero a Patrizia Sandretto Re Rebaudengo e un testo di Francesco Bonami, oltre a schede approfondite su ciascuna opera.

La mostra offrirà inoltre percorsi di formazione e laboratori didattici per approfondire il lavoro e le idee degli artisti presenti nell’esposizione.

DAN PERJOVSCHI. “THE CRISIS IS (NOT) OVER. DRAWINGS AND DIORAMAS”

05.02.201112.06.2011

a cura di Teresa Macrì

Promossa da Roma Capitale, Assessorato alle Politiche Culturali e Centro Storico – Sovraintendenza ai Beni Culturali

Sulle grandi pareti della sala Enel la nuova opera dell’artista rumeno Dan Perjovschi: un ironico e pungente affresco contemporaneo che riflette sulle infinite contraddizioni dell’oggi attraverso la libertà del segno e della parola.

Perjovschi sarà il primo artista a lavorare direttamente sulla pelle del nuovo MACRO, mentre i visitatori potranno assistere alla sua creazione “in tempo reale”: attraverso una performance di alcuni giorni (dal 5 al 16 febbraio) e interamente visibile dal pubblico, Perjovschi darà vita a una grande opera satirica, animata da epigrammi e disegni paradossali.

Dan Perjovschi (Sibiu, Romania, 1961) è un artista riconosciuto in tutto il mondo per i suoi interventi nei più grandi musei internazionali, quali il MoMA di New York e la Tate Modern di Londra.
Appositamente per gli spazi del MACRO egli realizza un gigantesco “affresco”, fatto di disegni e fumetti che riflettono in forma ironica il mondo politico, sociale e culturale della contemporaneità. Il concept dell’opera si snoda sul paradigma della crisi economica globale e sul paradosso in cui la società turbo-consumistica postmoderna tenta di disinnescare i rischi della recessione.

Accanto all’installazione, il cui “making of” sarà visibile al pubblico in una sorta di performance continua della durata di alcuni giorni, Dan Perjovschi presenterà cinque diorami realizzati tra il 2006 e il 2009 attraverso i suoi viaggi in alcune città europee: Venezia, Firenze, Berlino-Bruxelles (“Bexperience”), Londra e Stoccolma. Racconti attraverso immagini e parole delle suggestioni dell’artista di fronte alla realtà.
La mostra di Dan Perjovschi, “The crisis is (not) over. Drawings and dioramas”, a cura di Teresa Macrì, sarà così l’occasione per vedere il lavoro in progress di un artista impegnato nella ricerca di nuove dimensioni dello spazio, di inediti significati del mondo che lo circonda.

Nonostante la sua analisi dei valori sociali e dei principi contemporanei sia spietata, l’indagine di Perjovschi è scandita attraverso il filo dell’ironia e del sarcasmo, strumenti capaci di cogliere le stridenti contraddizioni del reale.
Cresciuto nella Romania comunista di Nicolae Ceauşescu e dunque sotto la scure della repressione e della censura culturale, Perjovschi appartiene alla generazione liberatasi dalla dittatura dopo il crollo del muro di Berlino nel 1989. L’artista ha iniziato a lavorare a Bucarest nel 1991 come disegnatore sul magazine rumeno “22”. La sua pratica linguistica favorita è quindi il disegno, “animato” da giochi di parole, da epigrammi e dal senso paradossale con cui delinea gli eventi socio-politici, i nuovi conflitti di classi, le contraddizioni del sistema dell’arte, le anomalie del convivere all’interno del mondo globalizzato. La sua rappresentazione, quasi performativamente, convoglia spesso in grandi installazioni murali, ma anche e sorprendentemente in video, video-animazioni, diorami, quaderni di appunti, fotografie.
Perjovschi sfrutta ogni possibilità spaziale, definendo nuove dimensioni degli ambienti in cui lavora: pareti, finestre, pavimenti, vetrate, soffitti all’interno/esterno di musei, di istituzioni e di gallerie, in cui fa fluttuare le sue affabulazioni seguendone l’architettura che li contiene e trasformando ogni suo intervento in un progetto site-specific.

Dan Perjovschi nasce a Sibiu (Romania) nel 1961. Vive e lavora a Bucharest. L’artista, formatosi presso il Conservatorio di Belle Arti George Enescu di Iasi, in Romania, ha tenuto mostre personali nei principali musei del mondo. Risalgono al 2006 le sue presenze alla Tate Modern di Londra, alla Kunstraum di Innsbruck, al Moderna Museet di Stoccolma e alla Kunsthalle di Budapest. L’anno seguente oltre alla personale “I Am not Exotic – I Am Exhausted” presso la Kunsthalle di Basilea, si segnala il suo intervento dal titolo “What Happened to Us?” al MoMA di New York. Nel 2008 è presente al Ludwig Forum für Internationale Kunst di Aachen in Germania, mentre nel 2009 è invitato dal Museum of Contemporary Art Kiasma di Helsinki, dal Vanabbesmuseum di Eindhoven in Olanda e dalla Salzburger Kunstverein di Salisburgo. Nel 2010 Perjovschi lavora al San Francisco Art Institute, al Royal Ontario Museum di Toronto e al Novi Sad Museum of Contemporary Art in Serbia. Tra le collettive si segnalano le partecipazioni alle Biennali di Istanbul, di Bucarest, di Siviglia nel 2006, alla Biennale di Venezia nel 2007, a quella di Mosca nel 2007 e nuovamente nel 2010, alla Biennale di Sydney nel 2008 e a quella di Lione nel 2010. La sua opera compare in importanti collettive in musei internazionali, tra cui nel 2007 “This Place Is My Place” alla Kunstverein di Amburgo e “Brave New Worlds” al Walker Art Center di Minneapolis; nel 2009 “The Making of Art” alla Schirn Kunsthalle di Francoforte e nel 2010 “Tre Promises of the Past” al Centre Georges Pompidou di Parigi. In Italia ha esposto nel 2008 a Palazzo Strozzi a Firenze in “Arte, Prezzo e Valore – Arte contemporanea e mercato”, presso il MART di Rovereto all’interno di “Eurasia” e al Centro d’Arte Contemporanea di Villa Manin a Udine nella rassegna “God & Goods”. Nel 2009 è al Castello di Rivoli nell’ambito della mostra “What Is to Be Done?”.
Perjovschi ha vinto nel 2004 il George Maciunas Award.

PERFORMANCE DI DAN PERJOVSCHI

05.02.201116.02.2011

a cura di Teresa Macrì

Promossa da Roma Capitale, Assessorato alle Politiche Culturali e Centro Storico – Sovraintendenza ai Beni Culturali

L’artista rumeno Dan Perjovschi sarà il primo artista a lavorare direttamente sulla pelle del nuovo MACRO, mentre i visitatori potranno assistere alla sua creazione “in tempo reale”: attraverso la performance di alcuni giorni, Perjovschi darà vita a una grande opera satirica, animata da epigrammi e disegni paradossali.

La Collezione e i nuovi arrivi: Giuseppe Pietroniro e ZimmerFrei

12.02.201112.06.2011

Promossa da Roma Capitale, Assessorato alle Politiche Culturali e Centro Storico – Sovraintendenza ai Beni Culturali

Presentate al pubblico due nuove opere, entrate recentemente a far parte della collezione – due lavori che interagiscono con l’architettura del Museo, rivelandone prospettive inaspettate attraverso media differenti. Esposta la fotografia Interno MACRO Roma (2010) di Giuseppe Pietroniro e presentata l’installazione Untitled (2010) del collettivo ZimmerFrei.

Continua così la crescita della collezione del museo, con comodati e donazioni che ne arricchiscono il patrimonio e la complessità.

Il nuovo MACRO progettato da Odile Decq, da poco inaugurato, si sta affermando sempre più agli occhi del pubblico come luogo della sperimentazione, della contemporaneità e della creatività. Il rapporto virtuoso e sorprendente tra forme architettoniche e opere d’arte rappresenta certamente uno dei punti di forza di questa nuova struttura, vera e propria casa delle immagini aperta alla città e ai suoi abitanti. In questo contesto la presentazione delle opere della Collezione permanente occupa un ruolo di primaria importanza: attraverso allestimenti tematici e installazioni site-specific si instaura un rapporto di reciproca valorizzazione tra le dimensioni dell’architettura e le forme dell’arte.

La fotografia Interno MACRO Roma (2010) di Giuseppe Pietroniro è stata realizzata negli spazi della grande sala espositiva del nuovo Museo. Tramite la duplicazione digitale dell’immagine, lo spazio architettonico (pareti, passerelle, vetrate, ombre e luci) è sottoposto a un gioco di rispecchiamenti e riflessi, presentandosi così insieme come luogo tridimensionale e icona bidimensionale. L’allestimento della fotografia in uno spazio diverso da quello rappresentato (sulle passerelle al di sopra della biglietteria del museo) è in grado di dislocare ulteriormente le aspettative, sottolineando la qualità variegata e molteplice degli elementi architettonici del nuovo edificio. L’opera è presente grazie alla collaborazione con Giubilarte Eventi di Valentina Ciarallo.
Gli spazi museali della serie fotografica di Giuseppe Pietroniro “I Know him inside out”, di cui la foto-installazione per il MACRO è la più recente espressione, sono privati della loro funzione e diventano essi stessi un’opera da inserire nello spazio. L’immagine, concettuale e di assoluta autoreferenzialità, stimola il visitatore attraverso un ‘cortocircuito’ visivo.

Continua la collaborazione tra UniCredit e MACRO, così come accaduto con l’opera permanente di Daniel Buren, presentata lo scorso anno, ora è la volta di ZimmerFrei, collettivo di giovani artisti nato a Bologna nel 2000. L’installazione Untitled (2010) riflette sullo spazio architettonico in una maniera completamente nuova e differente. Allestita negli spazi del Museo, al confine tra aree espositive e uffici, l’opera si presenta come un semplice spioncino nel muro. Solo a uno sguardo ravvicinato e curioso si riesce a intravedere l’ambiente retrostante, una piccola wunderkammen in cui ZimmerFrei ha inserito oggetti/feticcio, come un uccello in tassidermia, dei vinili di musica jazz, un teschio di capriolo e vari libri di saggistica. La comunicazione voyeuristica tra spazi di natura differente rovescia nuovamente le aspettative, presentando al pubblico oggetti disparati e fuori contesto e giocando con la curiosità e la sorpresa.

Le opere di Giuseppe Pietroniro e di ZimmerFrei entrano in dialogo con il Museo, invitando il pubblico a una rinnovata e approfondita riflessione sullo spazio. La presenza di giovani esponenti dell’arte italiana risponde inoltre a un’altra fondamentale missione del MACRO: promuovere e stimolare l’attività artistica delle ultime generazioni presentandola all’interno degli spazi museali per proporla a un vasto pubblico.

Giuseppe Pietroniro è nato a Toronto (Canada) nel 1968. Vive e lavora a Roma. La sua ricerca mira ad approfondire la relazione tra oggetto e progetto, percezione, spazio e rappresentazione, presenza e assenza. Tra le principali mostre personali ricordiamo Lo scandalo del vuoto presso Spazio Gerra a Reggio Emilia nel 2009, Perluciditas alla Galleria Maze di Torino e IN_STABILITY presso Loto Design a Roma nel 2007. Numerose le partecipazioni a collettive, tra cui nel 2009 Speranze & Dubbi,Arte giovane tra Italia e Libano alla Fondazione Merz di Torino, The Buffer Zone alla American Academy di Roma, Speculazioni d’artista-Quattro generazioni a confronto al Museo Carlo Bilotti di Roma, nel 2008 Esplorazioni alla Temple Gallery di Roma.

ZimmerFrei è un collettivo di artisti nato a Bologna nel 2000. E’ formato da Anna de Manincor (1972), artista e videomaker, Anna Rispoli (1974), artista e performer, e Massimo Carozzi (1967), artista e sound designer. Il gruppo lavora sulle possibili connessioni tra le arti visive e la performance, attraverso l’utilizzo di diversi media, dal video, alla fotografia, all’installazione.
Tra le mostre personali recenti segnaliamo TOMORROW IS THE QUESTION! presso la galleria Monitor video&contemporary art di Roma nel 2010, ZimmerFrei alla Front Room Gallery di Brooklyn NYC nel 2009, Everyday (the satellite seems a little further out of reach) alla Galleria Nazionale di Arte Moderna e Prima della musica all’Auditorium Parco della Musica di Roma nel 2008. Tra le collettive ricordiamo nel 2010 Art Tube alla Galleria Civica Cavour di Padova, e Milano / Marsiglia, #2 Mal d’archive a La Friche La Belle de Mai di Marsiglia, nel 2009 Crossing Landscapes alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo di Torino, Harburger Berge alla Kunstverein Harburger Bahnhof di Amburgo, Art Video Lounge al Centro Arti Visive Pescheria di Pesaro, nel 2007 Open Studios, I.S.C.P., New York, Principle Hope a Manifesta7, Rovereto, e In contemporanea alla Triennale di Milano. Hanno partecipato alla 51° Biennale d’Arte di Venezia nel 2005.

PABLO ECHAURREN. “BAROQUE’N’ROLL”

12.02.201113.03.2011

Promossa da Roma Capitale, Assessorato alle Politiche Culturali e Centro Storico – Sovraintendenza ai Beni Culturali

Sulle pareti della Hall verranno ospitate le raffinate e sorprendenti sculture in ceramica di Pablo Echaurren, artista romano la cui opera spazia dalla pittura alla scultura, dall’illustrazione al collage. Sei opere che fanno dialogare inaspettatamente estetica barocca e musica rock, in una commistione di generi e universi che spiazza lo sguardo e la mente.

Si intitola Baroque’n’roll il nuovo progetto artistico di Pablo Echaurren, artista romano la cui opera spazia dalla pittura alla scultura, dall’illustrazione al collage. Sei grandi sculture in ceramica, realizzate dalla Bottega Gatti di Faenza, popolano la hall del museo, simili alle edicole barocche che punteggiano le strade e le piazze di Roma.

Partendo dalla profonda comprensione del Barocco, Echaurren ha avviato una rilettura di quello stile vertiginoso e dinamico, animando le reminiscenze del passato con immagini moderne legate alla musica rock: le edicole, piccole strutture architettoniche, un tempo dedicate a ospitare immagini sacre, contengono in questo caso diverse forme di bassi elettrici, materializzazioni dei ritmi ossessivi e rivoluzionari del rock’n’roll.
L’artista afferma. “Le mie edicole sacralizzano uno strumento che è cuore pulsante, cuore elettrico, cuore collettivo. Lo raccontano in maniera plastica e lo offrono al passante. Nei diversi tipi di basso ciascuno può ritrovare la propria musica, ricostruire una colonna sonora, scaricare una playlist totale mentale”.

La poetica del sensazionale, del meraviglioso, l’idea di arte come modo di pensare figurato, l’allegoria, il metamorfismo, il grottesco, i paradossi, i motti di spirito, l’onirismo, sono le note barocche di cui Echaurren si appropria nel proprio lavoro.
Altri luoghi comuni dell’estetica molteplice, simultanea e avvolgente del barocco, attraversano da sempre la cifra stilistica dell’artista: l’horror vacui, inteso come paura e al contempo tentazione dell’abisso, e lo spiazzamento logico e percettivo.

Seguendo una logica paradossale, iconoclasta e immaginosa, Echaurren fa entrare in rotta di collisione il barocco con il rock e non solo per facile assonanza. Anche il rock genera la perdita d’identità, stimolando vertiginosi movimenti e spezzando l’unità per ruotare intorno a più centri. Sono questi elementi, insieme a una acuta riflessione sul lessico futurista, altro grande polo della formazione e dell’immaginario di Echaurren, che costituiscono la base di Baroque’n’roll. Un mondo plastico provocatorio e paradossale in cui convivono senza soluzione di continuità le forme sinuose dei bassi elettrici, astratti cieli stellati, ricche cornici barocche popolate di putti e teschi e raggi di luce dorata.

In occasione della mostra è pubblicato un catalogo edito da Gli Ori – Fondazione Echaurren Salaris, con un testo di Nicoletta Zanella un contributo di Umberto Croppi, un’intervista all’artista di Luca Massimo Barbero e una di Guglielmo Gigliotti.

Pablo Echaurren (Roma, 1951) nasce da Angela Faranda, attrice italiana, e dal pittore cileno Roberto Sebastian Matta Echaurren. Inizia a dipingere a diciotto anni e tra il 1973 e il 1975 espone a Roma, Milano, Basilea, Philadelphia, Zurigo, Berlino, New York, Bruxelles. Nel 1975 partecipa alla Biennale di Parigi. Nel 1983 è al Palazzo delle Esposizioni di Roma (con Altan e Andrea Pazienza), dove tornerà nel 1995 con una mostra personale di omaggio al Futurismo. È presente in numerose rassegne, tra cui, Anniottanta (Bologna, 1985), XI Quadriennale (Roma, 1986), Artoon (Roma, 1989). Sullo sfondo dell’ultima pop art, dell’arte povera, del minimalismo e del concettuale, nei primi anni settanta mette a punto un proprio universo lessicale in cui confluiscono varie sollecitazioni, dal segno di Hokusai alle citazioni fumettistiche di Roy Lichtenstein, ma anche le immagini scientifiche dei libri di storia naturale, e l’orizzonte dei comics. In un secondo momento, il confronto con la storia dell’arte si allarga in un costante dialogo con le avanguardie storiche, rivisitate con lo sguardo d’un abitante del villaggio globale, nutrito di immagini telematiche e messaggi massmediatici.
La sua ricerca pittorica si dilata anche nella direzione dell’arte moltiplicata. Disegna copertine, manifesti, calendari, pubblicità e fumetti. Dal 1997 è Accademico di San Luca. Nel 2004 il Comune di Roma ha promosso la mostra antologica Pablo Echaurren. Dagli anni settanta a oggi nelle sale del Chiostro del Bramante.
Dopo la personale all’Auditorium di Roma (2006), dedicata alla sua band preferita, i Ramones, nel 2007 ha girato il film The Holy Family. Nel 2009 il MIAAO (Museo Internazionale di Arti Applicate Oggi) di Torino celebra il centenario del Futurismo con una mostra incentrata sul lavoro di Echaurren. Nel 2010 la Fondazione Roma Museo ospita una retrospettiva (curata da Nicoletta Zanella) dal titolo Crhomo Sapiens.

GIORGIO GRIFFA. “CANONE AUREO”

12.02.201113.03.2011

a cura di Teresa Macrì

Promossa da Roma Capitale, Assessorato alle Politiche Culturali e Centro Storico – Sovraintendenza ai Beni Culturali

In mostra le nuove opere di Giorgio Griffa, uno tra i maggiori esponenti della pittura italiana contemporanea. Quattro grandi tele, nate dalle riflessioni sul rapporto aureo e sul dialogo tra arte e scienza, concepite dall’artista appositamente per il museo, ne interpretano gli spazi creando un dialogo immediato con le superfici.

Canone Aureo è il titolo di questa mostra, scelto per indicare il filo rosso che lega gli ultimi lavori dell’artista, nati dalle riflessioni sul rapporto aureo e sul dialogo tra arte e scienza. In questo ciclo di opere l’artista si concentra sul numero aureo, formalizzato per la prima volta da Euclide nella Grecia del IV secolo a.C. per indicare il calcolo in base al quale dividendo un segmento in due parti, l’intero sta al maggiore come il maggiore sta al minore. Il risultato di questo rapporto, indice di armonia, equilibrio ma anche ignoto e meraviglia fin dai tempi antichi, è 1,618033988… un numero periodico cui seguono dopo la virgola illimitate cifre, che si dispiegano sulle tele di Griffa accostate a sequenze di linee dai toni ora tenui, ora più vivaci: verticali, orizzontali, curve, oblique.

L’artista parla della sua idea di pittura e descrive in questi termini la genesi delle sue opere: “[…] mi sono accorto che la pittura da sempre ha come piedistallo il rapporto con l’ignoto, che è il punto di fondo, il punto su cui il mio lavoro si sviluppa. Così nel momento in cui mi rendo conto che la pittura ha delle capacità di narrazione antiche e ineliminabili, […] bisogna che ritrovi questo suo senso di raccontare il mondo, questa volta non da fuori ma da dentro, di entrare nell’ignoto. Quando mi sono trovato di fronte alla Sezione Aurea, non come rettangolo aureo ma come numero aureo, quest’invenzione straordinaria di un numero che va avanti da 2300 anni e andrà avanti fino alla fine dei tempi per milioni anni, […] da quel momento ho cominciato a usare quel numero quale strumento di questo racconto. […] È un modo di conoscere l’infinito attraverso la modesta presenza di un piccolo numero.”

Già precedentemente presente nei suoi lavori come riferimento spaziale e temporale, teso a sottolineare l’ordine di esecuzione delle tele e a fissare la posizione e la quantità di elementi all’interno di esse, il numero è ora esplorato nella sua natura più pura e originaria. Giorgio Griffa approda ora con questi originali lavori, realizzati in tela grezza ed esposti senza il supporto di un telaio (modalità costante nel suo lavoro fin dagli anni ’60), a una dimensione pittorica monumentale sul tema della matematica, tramite le quale compie un’analisi del colore e dell’astrazione.

“[…] è la pittura stessa a portare in sé questi aspetti, rappresentazione, intelletto, emozione, nella sua memoria, senza alcun bisogno che io sovrapponga una mia memoria”. I segni grafici sono anonimi, non conservano la memoria personale del pittore ma sono portatori solo di quella che si è sedimentata in essi nel corso del tempo. L’ambiguità e il mistero di questo numero infatti sviluppano un gioco dialettico che vede la compresenza di concetti opposti quali passato e presente, conoscenza e ignoto, memoria e contingenza, in antitesi tra loro ma legati da un costante dialogo che conserva tuttora piena attualità.

Una ricerca aperta dunque, un percorso che si rinnova continuamente, che prende spunto da problematiche di origine matematica, ma non per trasmetterne e riprodurne sistematicamente le metodologie, quanto per mettere in luce l’irrazionale e ciò che non è possibile enunciare scientificamente. Le parole dell’artista esprimono con chiarezza il suo pensiero: “la scienza procede per far emergere ciò che può diventare noto nell’ignoto, l’arte per conoscere quello che resta ignoto e, conoscendolo, sai che resta lì, indicibile”.

Giorgio Griffa nasce a Torino nel 1936, dove vive e lavora. Inizia la sua esperienza artistica negli anni ’60 divenendo uno dei maggiori pittori italiani contemporanei. La ricerca artistica del maestro è caratterizzata da un’analisi pura del colore, del gesto e della linea, e la sua indagine si focalizza sui modi e gli statuti del fare pittura. La prima mostra risale al 1968 alla galleria Martana di Torino, dove collabora anche con la galleria Sperone, mentre a New York e a Parigi collaborerà con la galleria Sonnabend. Esporrà con continuità in gallerie internazionali, inoltre sarà presente con una sala personale alla XXXIX Biennale di Venezia (1980) e gli sarà dedicata la mostra personale “Uno e Due” alla G.A.M. di Torino (2001). Tra le rassegne internazionali, a partire dalla famosa mostra “Processi di pensiero visualizzati” al Kunstmuseum di Lucerna (1970), ricordiamo la sua partecipazione a “Contemporanea” nel Parcheggio di Villa Borghese di Roma (1973), “Arte in Italia 1960/77” alla G.A.M. di Torino (1977), XXXVIII Biennale di Venezia (1978), “L’informale in Italia” alla G.A.M. di Bologna (1983), “Il museo sperimentale di Torino” al Castello di Rivoli (1985), XI Quadriennale di Roma (1986), “Pittura italiana dal dopoguerra ad oggi” al M.A.S.P. di San Paolo, Brasile (1989), “Torino e le arti 1950/1970” al Castello di Rivoli (1993), “Museo Museo Museo” alla G.A.M. Di Torino (2006) e “Time & Place” a Stoccolma e Zurigo (2008).

PLAY – Giochi di ruolo

24.02.201124.02.2011

Promossa da
Roma Capitale, Assessorato alle Politiche Culturali e Centro Storico – Sovraintendenza ai Beni Culturali, in collaborazione con l’Istituto Svizzero di Roma, l’Ambasciata del Brasile, la Real Academia de España, l’Accademia di Romania in Roma, la Delegazione Generale Palestinese e l’Ufficio Culturale Ambasciata d’Israele.

Organizzazione e servizi museali
Zètema Progetto Cultura

Sito Web
www.csedici.net

Con il contributo tecnico di La Repubblica

Curatore
Collettivo C16

Rassegna curata da C16, il collettivo formato dagli studenti del Master in Curatore Museale e di Eventi Performativi dell’Istituto Europeo di Design di Roma. Nella hall del Museo saranno proiettati 16 opere video selezionati dagli allievi curatori.

Gli artisti della rassegna video: Felipe Barros (BR) “Derivações”, Matei Bejenaru (RO) “Insieme/Together”, Shane Belcourt (CA) “Boxed in”, Yin-Ling Chen (CI) “A face”, Horis Hoebe (NL) “Stort”, Lovett/Codagnone (USA) “Because My Body Can Never Be Touched”, César Meneghetti (BR) “Les Terras di nadie”, Li Ming (CI) “XX”, Adrian Paci (AL) “Turn on”, Annie Ratti (IT) “Le ballon rouge”, Davide Sebastian (IT) “The seed rebirth”, Ruti Sela (ISR) “Pride parade”, Selina Shah (UK) “White”, Studio spagnolo Anton Garcia-Abril & Ensamble STUDIO (SP) “Paulina and The Truffle”, Lisa Wade (USA) “Honey”.
 

PLAY – Giochi di ruolo è un invito a spostare per un momento il proprio punto di vista, verso una zona aperta in cui la “diversità”, sia a livello relazionale che spaziale, possa costituire un territorio fertile e stimolante di discussione. È un invito a mettersi nei panni dell’altro, per avvicinarsi alle cose con una prospettiva diversa, per emanciparsi dalle «tradizionali narrative relative a soggettività originarie e autoriali, focalizzandosi su quei momenti o processi che si producono negli interstizi, nell’articolarsi delle differenze culturali».

L’evento prevede poi diverse altre sedi espositive sul territorio romano: il Museo Pietro Canonica, all’interno del quale verrà ospitata una collettiva di artisti internazionali; diversi Istituti di Cultura e Ambasciate straniere presenti sul territorio, all’interno delle quali artisti delle diverse nazionalità sono stati invitati a sviluppare un proprio lavoro (Museo delle Mura, Ambasciata del Brasile, Real Academia de España en Roma, Accademia di Romania) e la Galleria Extraspazio che svolge da tempo un programma espositivo con artisti dell’area africana.

Ernesto Neto. “While Nothing Happens”

09.03.201112.06.2011

Promosso da Roma Capitale, Assessorato alle Politiche Culturali e della Comunicazione – Sovraintendenza ai Beni Culturali

MACRO – Museo d’Arte Contemporanea Roma – presenta il nuovo allestimento della sala Enel, con opere degli artisti internazionali Arcangelo Sassolino, Ernesto Neto e Dan Perjovschi. Presentandosi come ideale contenitore di molteplici e differenti linguaggi, con questi tre artisti il MACRO offre al proprio pubblico una esperienza che coinvolge tutti i sensi, che stimola una presa di coscienza del proprio ruolo nello spazio e una piena appropriazione delle opere.

Il nuovo allestimento continua con While Nothing Happens, realizzata dall’artista brasiliano Ernesto Neto nel 2008 per il MACRO, in occasione di una mostra personale a cura di Dobrila Denegri e grazie al supporto dell’Associazione MACROAmici. Oggi l’opera viene ripensata a partire dall’incanto visivo e dalle sue suggestioni olfattive, come un luogo plastico dell’artista che, in dialogo con le proporzioni della sala, offre al visitatore uno spazio raccolto e meditativo in cui raccogliersi. While Nothing Happens, è un’installazione in lycra, fluttuante e profumata, sospesa da terra, che continene cinque colorate spezie macinate: pepe nero, cumino, chiodi di garofano, zenzero e curcuma. Mescolando materia e spazio, colori ed odori, l’artista brasiliano, realizza un’opera che coinvolge tutti i sensi dello spettatore, abbattendo le distanze tra arte e vita, creando “un’arte che unisce, che ci aiuta a interagire con gli altri, che ci mostra il limite, inteso non come un muro ma come un luogo di sensazioni, di scambio e di continuità”.

Arcangelo Sassolino. “Piccolo animismo”

09.03.201112.06.2011

Promossa da Roma Capitale, Assessorato alle Politiche Culturali e Centro Storico – Sovraintendenza ai Beni Culturali

Nella grande sala Enel del MACRO, insieme alle opere di Dan Perjovschi e di Ernesto Neto, è esposta l’opera “Piccolo Animismo” dell’artista vicentino Arcangelo Sassolino, progetto speciale realizzato appositamente per il MACRO.

Attraverso il respiro profondo e sincopato di questa grande istallazione in acciaio inox, l’artista veneto crea una scultura “generatrice di forme” forzando il più possibile “la possibilità della materia contro la materia – aria e acciaio, pressione su metallo, tonnellate sulle saldature” e spingendone al limite le caratteristiche “facendone uscire l’imprevisto come forma e come suono”. Lo spettatore, coinvolto emotivamente dall’attesa di ciò che sta per accadere, vive il manifestarsi di queste tensioni e di questi conflitti mettendo in gioco la propria emotività, e partecipando quindi al dolore e al cambiamento che interessano l’opera.

Il lavoro dà voce e suono alla sala, alle sue tensioni postindustriali e ingegneristiche, nutrendosi allo stesso tempo dello spazio in cui è collocato.
“Piccolo animismo” è un grande contenitore realizzato con lastre di acciaio inox saldate tra di loro; attraverso un processo ciclico di immissione e sottrazione di aria in pressione, il volume subisce trasformazioni sorprendenti e destabilizzanti raggiungendo il limite della tensione e tuonando inaspettatamente. Modificando la fisicità stessa dell’opera, Sassolino crea una scultura “generatrice di forme” forzandone il più possibile la materia. Lo spettatore, coinvolto nell’attesa dell’azione, vive il manifestarsi di queste tensioni e di questi conflitti mettendo in gioco la propria emotività e partecipando al dolore e al cambiamento che interessano Piccolo animismo.
“Con la manipolazione di certa tecnologia industriale, del suo brutale realismo funzionale ed estetico – afferma l’artista – cerco di dare concretezza a una sensazione di energica terminalità. Tento di propagare un impatto psicofisico vulnerabile”. “Attraverso la scultura faccio fruire un fenomeno a cui la coscienza e la ragione reagiscono quando esso è in atto o addirittura è già passato. Se si vuole riviverlo bisogna aspettare un’altra azione. Nel frattempo c’è solo un rimando di memoria e un’estetica in attesa.”

Il respiro profondo e profondamente sincopato di questa grande installazione, in cui si ritrovano il sorprendente straniamento e la straordinaria tensione di due precedenti lavori – Afasia (esposto al Palais de Tokyo nel 2008) e Time Tomb (realizzato per Z33 House for Contemporary Art di Hasselt in Belgio) – agisce sull’idea di volume e di proporzione, trovando un nuovo senso e una nuova interiorità.

Da sempre interessato ai limiti della forma, della materia e del movimento, Sassolino carica il suo lavoro di una tensione fisica che scuote l’opera dall’interno: “Ogni volta che sono su un aereo mi chiedo a quanta sollecitazione può resistere un’ala sapendo che per stress meccanico qualsiasi materiale prima o dopo è destinato a collassare”. Quindi “perché non forzare questa possibilità della materia contro la materia – aria e acciaio; pressione su metallo; tonnellate sulle saldature – perché non forzare verso il limite le caratteristiche della materia facendone uscire l’imprevisto come forma e come suono? Spesso compaiono conseguenze sonore prodotte per attrito, impatto o cedimento dei materiali. A volte anche stolide masse che non diresti, si rivelano cantanti”.

Arcangelo Sassolino è nato a Vicenza nel 1967, dove attualmente vive e lavora. Dopo gli studi presso la School of Visual Art (SVA) di New York e una permanenza di sei anni negli Stati Uniti, nel 2001 ha tenuto la sua prima personale alla Galleria Grossetti di Milano. Sassolino ha preso parte a importanti esposizioni collettive presso istuituzioni artistiche di rilevanza internazionale; tra le italiane si segnalano la Fondazione Bevilacqua La Masa di Venezia (2001), il Mart – Museo d’Arte Moderna e Contemporanea di Trento e Rovereto, dove nel 2005 ha partecipato alla mostra “Per esempio. Arte Contemporanea Italiana dalla Collezione Uni Credit”, il C4 – Centro Cultura Contemporanea Caldogno (2006), la Peggy Guggenheim Collection di Venezia (2009) e più di recente la Fondazione Arnaldo Pomodoro di Milano dove ha preso parte a “La scultura italiana del XXI secolo” (2010). All’estero i suoi lavori sono stati esposti allo ZKM – Zentrum fur Kunst und Medientechnologie di Karlsruhe (2006), al FRAC di Rheims (2007), alla Haus für Konstruktive und Konkrete Kunst di Zurigo (2008), all’Essl Museum di Vienna (2009) e al Museum Tinguely di Basilea (2010). Tra le mostre personali più recenti si segnalano “Afasia“ al Palais de Tokyo di Parigi (2008) e “Time-Tomb” presso il Z33 Museum di Hasselt (2010), mentre è del 2007 la partecipazione a “Ginnungagap/Pavilion of Belief” nell’ambito della 52° Biennale di Venezia.

Howard Schatz. “New York Shots”

25.03.201101.05.2011

a cura di Gabriele Tinti
 
Promossa da Roma Capitale, Assessorato alle Politiche Culturali e Centro Storico – Sovraintendenza ai Beni Culturali
Con il sostegno di Federazione Pugilistica Italiana e Lega Pro Boxe
Con la collaborazione di MAC Manifestazioni Artistiche Contemporanee
Con il contributo tecnico di Hotel Turner Roma

La Hall del Museo diventa un inaspettato e sorprendente ring artistico, ospitando “New York Shots”, il nuovo progetto del fotografo americano Howard Schatz dedicato ai protagonisti del mondo della boxe. Dieci grandi fotografie attraverso cui Schatz indaga il tema del corpo e il suo ruolo nella cultura italoamericana.

La mostra “New York Shots”, nata come sviluppo di una idea editoriale, propone una riflessione sull’ambiente italoamericano attraverso l’arte e la boxe, due campi di espressione dove gli italiani si sono distinti e attraverso i quali hanno acquisito fama e notorietà in America. I lavori di Schatz che verranno esposti al MACRO appartengono alla serie fotografica che ha permesso al fotografo americano di vincere i prestigiosi premi: American Photo: Images of the Year e il Prix de la Photographie Paris come fotografo dell’anno.

“New York Shots” – progetto che include in sé una mostra, un libro e un evento – si è sviluppato dall’incontro tra idee ed energie differenti convogliate attorno a un piano unitario: la boxe e il suo mondo, la sua essenza, il suo sfondo naturale qual è sempre stato New York e la sua tradizione italiana che trova nella Roma del 1960 il coronamento olimpico.
Questo progetto si pone così al confine tra due piani: quello dell’arte, e della cultura tradizionalmente intesa, e quello della “cultura popolare”, nel quale sia il pugilato sia lo sport in generale vengono spesso classificati.
Questi due piani si incontrano nelle straordinarie fotografie di Schatz, presentate attraverso la mostra, il libro e l’evento che sarà una vera e propria celebrazione della boxe al Museo d’ Arte Contemporanea di Roma.

Howard Schatz (Chicago, Illinois, 1940) ha vinto nel 2010 i prestigiosi American Photo: Images of the Year ed il Prix de la Photographie Paris come fotografo dell’anno. Le sue fotografie sono state esposte all’International Center of Photography di New York,
all’University Art Museum della California State University di Long Beach, al Fresno Art Museum di Fresno, all’Elysse Museum e all’Olympic Museum di Losanna, al Museo della Scienza e della Tecnica di Milano, al Boston Museum of Fine Art di Boston, al Museum of New Art di Detroit, alla New York Public Library ed in molti altri Musei e spazi pubblici del mondo. Le sue foto sono state pubblicate nei più importanti magazine del mondo, inclusi Time, Sports Illustrated, ESPN Magazine, Vogue, Vogue Italia, GQ Italia, The New York Times Magazine, The New Yorker, Stern, Life, Black/White, and American Photo. Ha creato straordinarie immagini per Ralph Lauren RLX, Escada, Sergio Tacchini, Nike, Reebok, Wolford, Etienne Aigner, Sony, Adidas, Finlandia Vodka, MGM Grand Hotel, Virgin Records, and Mercedes-Benz. Il suo lavoro è rappresentato a New York dalla Staley-Wise Gallery, a Boston dalla Robert Klein Gallery, a Chicago dalla Catherine Edelman Gallery e a Denver dalla Gallery M and in Weggis.

Beatrice Pediconi e Roberto De Paolis. “No Trace”

25.03.201115.05.2011

a cura di Costanza Paissan

Promosso da Roma Capitale, Assessorato alle Politiche Culturali e Centro Storico – Sovraintendenza ai Beni Culturali

In mostra le opere di due giovani artisti italiani, Beatrice Pediconi e Roberto De Paolis, che utilizzano il mezzo fotografico per indagare la natura fragile e precaria delle figure e dei soggetti catturati dai loro scatti, presenze che trovano una loro collocazione nello spazio solo nella misura in cui nello spazio si perdono formalmente.

Sedici stampe fotografiche di grande formato costituiscono il progetto “No Trace”, che già dal titolo evoca la natura fragile e instabile che lega le opere dei due artisti romani, la cui ricerca, seppure condotta individualmente, è accomunata da una riflessione simile sul tema del tempo e dello spazio, esplorati in rapporto ai corpi e alle presenze sfuggenti che li abitano. Due progetti già formati, autonomi e personali, capaci però di accordarsi a posteriori, integrandosi e rafforzandosi reciprocamente in un dialogo denso di
domande e di risposte. Le presenze impalpabili della fotografia di Beatrice trovano corpo nei personaggi di Roberto; questi ultimi, apparentemente prigionieri di un incantesimo, sono toccati dalla vitalità delle figure vibranti di Beatrice. Le opere si guardano e si interrogano in un gioco speculare di rimandi ed echi.
Presentando la mostra No Trace, MACRO ribadisce il proprio interesse verso i giovani artisti romani, mantenendo così vivo il dialogo e il confronto tra le generazioni, la città e i nuovi linguaggi del contemporaneo. In questo caso, la fotografia diviene nuovamente protagonista degli spazi del Museo, confermandosi come espressione artistica centrale tra le discipline della contemporaneità.
L’elemento principale nella ricerca di Beatrice Pediconi è l’acqua. Le istintive “pitture” nell’acqua vengono catturate dal tempo fotografico in differenti momenti, per cogliere l’inconsapevole trasformazione della materia. Nella serie presentata al MACRO le sostanze utilizzate sono chine molto raffinate, che richiamano il microcosmo della nascita e la sua conseguente evoluzione. Le tracce filiformi, i segni indefiniti, le forme vaghe si disfano tra luci e ombre, rimandando alla rappresentazione di un moto vitale, di un mondo non concreto e permanente, ma illusorio, instabile e in continuo cambiamento. Nelle opere di Pediconi tutto è incerto e ambiguo: l’osservatore è immerso in un continuum di immagini che parlano del mondo e del tempo, della nascita e del movimento, del flusso e dell’evoluzione.
I soggetti delle fotografie di Roberto De Paolis sono sospesi tra realtà e dimensione onirica. Figure evanescenti ed eteree si delineano come apparizioni in luoghi neutri o all’interno di spazi privati, che raccontano solo indirettamente la storia e l’identità dei personaggi di cui recano traccia. In questo set costruito e studiato, spazio mentale più che fisico, il singolo individuo è moltiplicato come se fosse
rappresentato in momenti temporali diversi ma simultanei, ad indicare la perdita di un’identità unitaria e laframmentazione delle diverse parti dell’io, capaci per un attimo di incontrarsi nello spazio ideale della fotografia. Elena, Lucilla, Jasmine, Dario, personaggi i cui nomi danno il titolo alle opere di De Paolis, sembrano sfiorare la superficie delle immagini, lasciandovi una traccia instabile, trasparente e mobile.
La fusione di De Paolis di diversi momenti temporali, ottenuta con la tecnica della lunga esposizione che porta allo sdoppiamento delle figure, e l’instabilità embrionale ed emotiva nell’opera di Pediconi, rimandano entrambe a un tentativo di superare la transitorietà e i limiti che sembra imporci il presente e il ricordo del passato, che rendono l’uomo prigioniero.

Beatrice Pediconi (Roma, 1972) vive e lavora tra Roma e New York. Si forma tra Parigi e Roma dove si laurea in architettura nel 1999.
Il suo lavoro coinvolge differenti media, quali fotografia, pittura e video. Tra il 1996 e il 2005 concentra la sua ricerca sulla fotografia di architettura, ma dal 2003 inizia a dipingere sull’acqua riproducendo l’immagine tramite il mezzo fotografico ed il video. I suoi lavori sono stati esposti in mostre personali alla galleria Valentina Bonomo nella sede di Bari e di Roma e da Photo & Contemporary a Torino. La sua ultima serie dal titolo “Untitled” è attualmente in mostra all’Italian Academy a New York. L’artista ha partecipato inoltre a diverse collettive, tra cui, nel 2008, “Una Storia Privata. Fotografia e arte contemporanea nella collezione Cotroneo” al Museo Carlo Bilotti di Roma e PHotoEspaña; nel 2009 “La Fotografia Italiana” a Palazzo Sant’Elia a Palermo nel 2009 (curata da Achille Bonito Oliva).
Dal 2010 i suoi lavori vengono esposti in collettive in musei in America, tra cui, “The Edge of Vision” a cura di Lyle Rexer al Center for Creative Photography, Tucson, Arizona e attualmente in mostra al Cornell Fine Art Museum, Winter Park, Florida. Nel 2008 vince il premio come miglior artista alla VII Biennal for Experimental Art a San Pietroburgo. Nel 2009 vince la Lucid Art Foundation’s artist residency a San Francisco.

Roberto De Paolis (Roma, 1980) vive e lavora tra Roma e New York. Tra il 1999 e il 2001 studia cinema alla London International Film School di Londra. Nel 2002 torna a Roma dove frequenta per tre anni la scuola di recitazione di Beatrice Bracco e si avvicina alla fotografia. Nel 2005 inizia ad esporre il proprio lavoro fotografico e partecipa al 5° Festival Intern azionale della Fotografia di Roma con la mostra “Psicoanalisti”. Intraprende il suo vero percorso nel 2007 quando il Comune di Roma gli commissiona una grande installazione pubblica, “Light Building”, da realizzare sulla facciata di palazzo Sora in occasione della Notte Bianca. Le fotografie, stampate su plexiglass, montate sulle finestre e retro-illuminate, trasformano il palazzo in un unico grande light-box nel centro di Roma. Negli anni seguenti Roberto De Paolis realizza nuove installazioni per PhotoEspana a Madrid, Museo Bilotti a Roma (entrambe per la collezione Cotroneo “Una Storia Privata”), Arte Fiera a Bologna, Casa Zerilli Marimò a New York e Museo di San Servolo a Venezia (a cura di Raffaele Gavarro). Dal 2007 inizia la collaborazione con la galleria Oredaria di Roma dove nel 2008 realizza la mostra personale “Qui e mai altrove”. Le sue istallazioni e fotografie sono state esposte in varie mostre collettive all’estero, tra cui a Berlino alla galleria ArtMbassy (“Magie real”) e a Dublino nello spazio dell’Osservatorio (“Wildly different things : Dublin and New York”). Nel 2009 realizza il suo primo cortometraggio “BASSA MAREA”, della durata di 15 minuti, che viene presentato al Festival del Cinema di Venezia del 2010. Dal 2010 collabora come video-artista alla rivista inglese di Louis Vuitton Nowness (www.nowness.com).

SARAH BRAMAN. Lay Me Down

04.05.201112.06.2011

a cura di Elena Forin

Prima mostra personale in Italia dell’artista americana Sarah Braman. Quattro sculture, di cui una concepita e realizzata appositamente per il MACRO, indagano e raccontano desideri nascosti e inaspettati del nostro mondo attraverso la luce, il colore e la materia.

Le sculture della Braman sono spesso assemblaggi di oggetti di uso comune, come mobili, ferrovecchio e talvolta parti di carrozzerie, che nella loro imponente concretezza rappresentano per l’artista “monumenti alle persone che amo, alla gioia e alla confusione che provo per l’essere viva”. L’opera prodotta appositamente per il MACRO sarà composta da acciaio, plexiglas, oggetti di seconda mano e pittura.

Queste opere offrono una chiave d’accesso a un’altra dimensione ma si presentano al contempo come cose tra le cose: esse infatti “non esistono in quanto [meri] riferimenti, allusioni, rappresentazioni o metafore … [ma] rimangono nel nostro spazio come cose in sé, reali come un tavolo o un albero”.

Attraverso l’atto creativo Sarah Braman concretizza stati d’animo e sensazioni del momento, memorie personali e collettive, visioni fisiche e poetiche che generano un’unione sospesa tra passato e presente, realtà e immaginazione. Nel tentativo di liberarsi dalla necessità della rappresentazione, le sculture approdano quindi a un equilibrio all’apparenza precario ma che, grazie a uno sguardo attento e mobile, si rivela stabile e naturale.

Un approccio estatico e istintivo verso il mondo e l’arte, che emerge nelle parole dell’artista: “Più canzoni d’amore perché non so nulla. Disegna nella sporcizia. Costruisci una capanna. Costruisci un monumento! Facciamo sesso! Non capisco la corporeità del nostro pianeta. Com’è possibile? Il colore è un miracolo. Com’ ‘essere liberi’ qui? La morte arriva, sempre”.

“Lay Me Down” (Sdraiami / Stendimi), titolo della mostra, si presenta come un atto di abbandono rispetto all’inevitabilità della perdita; una consapevolezza ben presente nelle opere della Braman, che colgono la pienezza dell’istante nel momento del suo mutare. Luce e colore, elementi scultorei per eccellenza, rappresentano la sintesi di questa volontà di cambiamento, che si concretizza poeticamente nelle sue opere.

Sarah Braman è nata a Tonawanda (New York, USA) nel 1970, attualmente vive e a lavora a Amherst (Massachussetts, USA.). Nel 1999, dopo il diploma presso la Tyler School of Art di Philadelphia, si aggiunge a Phil Grauer, Wallace Withney e Suzanne Butler in CANADA, uno spazio espositivo alternativo, gestito da artisti nel Lower East Side di Manhattan, dove nel 2000 presenta “Crystal Show”, la sua prima personale. Dopo numerose mostre tra Stati Uniti e Canada, nel 2006 Braman espone in Europa, prendendo parte a due collettive rispettivamente presso la Galleri Christina Wilson di Copenhagen (Danimarca) e la Counter Gallery di Londra (Regno Unito). Tra i più interessanti artisti emergenti statunitensi, Sarah Braman ha partecipato a eventi espositivi di rilevanza internazionale, quali l’Armory Fair di New York (2009) e la Biennale di Lisbona (2010); le sue opere figurano inoltre in importanti collezioni pubbliche e private come la De La Cruz Collection di Miami (USA). Tra le mostre più recenti (2010) si segnalano le personali “Indian Summer” e “April Trip”, rispettivamente presso l’istituto Le Confort Moderne di Poitiers (Francia) e la galleria Museum 52 di New York (USA), e la bipersonale “Sarah Braman & Peter Alexander” alla Franklin Parrasch Gallery di New York (USA). Dello stesso anno anche la partecipazione a “The Shape of Things to Come: New Sculpture” presso la prestigiosa Saatchi Gallery di Londra (Regno Unito).

La Fondazione DEPART è un’organizzazione d’arte dedicata allo sviluppo e al sostegno di artisti contemporanei il cui lavoro e le cui carriere si distinguono dai precedenti tentativi o predecessori.
La Fondazione DEPART supporta attivamente il settore della ricerca, della produzione artistica, dell’educazione e dell’acquisizione, incoraggiando la crescita degli artisti attraverso la promozione di un programma di residenze, di laboratori, di simposi e di borse di studio per la ricerca; sostiene attivamente il settore dello sviluppo urbanistico attraverso la pianificazione, la progettazione architettonica e lo sviluppo culturale attraverso programmi ed iniziative rivolte alla comunità.

Marcando la Storia. 14 grandi aziende raccontano l’Italia che vuole ospitare le Olimpiadi del 2020

20.05.201128.05.2011

a cura di Antonio Romano

Promossa dalla Fondazione per Roma 2020

MACRO Testaccio

La mostra, curata da Antonio Romano, uno dei maggiori esperti di marchi e design, divisa per decenni, rappresenta una finestra e un’osservazione sull’evoluzione della nostra società e dei suoi stili di vita negli ultimi cinquanta anni (1960-2010), con un occhio anche al decennio che ci porterà alle prossime Olimpiadi.

Partendo dagli anni ’60, gli anni della passata Olimpiade romana, 14 fra le aziende simbolo della bravura e della creatività italiana, nate in quegli anni o che in quel periodo hanno creato marchi o iniziative base per la loro storia, sono state invitate a raccontare la loro Italia e la loro maniera di affermare l’eccellenza italiana nel mondo, attraverso storie, documenti, icone, care alla memoria di tutti gli italiani ed a raccontare, dal loro punto di vista, l’Italia che verrà.

Stessa cosa è stata chiesta al Comune di Roma per far risaltare i progressi fatti in questi ultimi 50 anni e presentare i progetti per il futuro.

E’ nata così “Marcando la Storia”: un viaggio in 60 anni di vita italiana, dal 1960 al 2020, di connubio fra marchi e società, di obiettivi ambiziosi, pensati e raggiunti, per dimostrare la capacità e il merito italiano nel voler ospitare le Olimpiadi del 2020.

Unicità d’Italia. Made in Italy e identità nazionale1961/2011, cinquant’anni di saper fare italiano raccontati attraverso il Premio Compasso d’Oro ADI

31.05.201125.09.2011

a cura di Enrico Morteo per Fondazione Valore Italia, Fondazione ADI, ADI

Promossa da Ministero dello Sviluppo Economico
Prodotta da Fondazione Valore Italia in collaborazione con Fondazione ADI e ADI

MACRO Testaccio

La mostra presenta il fenomeno del Made in Italy come elemento di coesione sociale che ha contribuito a rafforzare il nostro sentimento di identità nazionale. Il racconto espositivo si sviluppa attraverso i prodotti della Collezione storica del Compasso d’Oro, per la prima volta dalla sua nascita esposta integralmente. L’esposizione si articola in due sedi espositive: Palazzo delle Esposizioni e MACRO Testaccio La Pelanda.

Al MACRO Testaccio La Pelanda si guarda alla contemporaneità e si apre il dibattito sul futuro: quali sono le sfide che il Made in Italy deve oggi, e sempre più dovrà domani, affrontare per poter mantenere la propria “unicità”? Quale tragitto deve seguire il sistema produttivo nazionale per rimanere competitivo nell’economia globalizzata?

In mostra vi saranno i circa quattrocento nuovi prodotti selezionati nell’ultimo triennio dall’Osservatorio Permanente del Design dell’ADI per concorrere al XXII Premio Compasso d’Oro ADI, che sarà assegnato in luglio proprio nell’ambito della Mostra.
Il contesto sarà anche l’occasione per comunicare al pubblico l’importanza di una corretta cultura della proprietà industriale, accrescendo la consapevolezza che il Made in Italy potrà rimanere unico solo tutelando la creatività che ne è all’origine.

L’esposizione a La Pelanda costituisce uno degli appuntamenti clou dell’estate romana. Si alterneranno eventi di varia natura – convegni, seminari, lezioni sul design, spettacoli e cinema – volti a coinvolgere il pubblico sui temi fondanti della Mostra stessa. All’interno è possibile fermarsi nel ristorante caratterizzato da un’offerta di prodotti tipici della cucina mediterranea e della tradizione agroalimentare italiana.

Il Compasso d’Oro
Nato su iniziativa dei grandi magazzini La Rinascente, ma già nel 1958 gestito dall’ADI – Associazione per il Disegno Industriale -, il Compasso d’Oro si proponeva di promuovere il valore culturale dei beni di consumo e di rinnovare l’offerta della produzione italiana, in un periodo di rapida espansione sociale ed economica del Paese.
Nel tempo, questo obiettivo si è andato ridefinendo, facendo del Compasso d’Oro il riconoscimento dell’eccellenza del design italiano in un senso più allargato, premiando l’innovazione tecnologica e tipologica, la ricerca e la sperimentazione nell’uso dei materiali o nei processi di produzione e di vendita.

Pietro Fortuna: GLORY II. Le lacrime dell’angelo

25.06.201130.10.2011

Promosso da Roma Capitale, Assessorato alle Politiche Culturali e Centro Storico – Sovraintendenza ai Beni Culturali

La hall del MACRO ospita Le lacrime dell’angelo di Pietro Fortuna, seconda tappa di “Glory”, un progetto articolato in un ciclo di grandi mostre e nato dalle riflessioni dell’artista sui concetti di bene, condivisione e spazio collettivo.

Dopo l’intervento dell’agosto 2010 presso il Tramway di Glasgow, Fortuna presenta al MACRO una grande installazione che abita l’ambiente della hall, spazio di fondamentale importanza per il rapporto osmotico che il museo intrattiene con la città e il quartiere. Le lacrime dell’angelo, un corpo unico costituito dall’unione di tre opere realizzate separatamente tra il 2002 e il 2008, interviene sulla percezione dello spazio prolungando i volumi esistenti, suddividendo trasversalmente l’ambiente e moltiplicando le aree all’interno di un unico contesto. L’installazione fa riferimento a un repertorio di figure e oggetti che tramite questa fusione acquisiscono un’identità inedita, così come il volume architettonico, risultato della sovrapposizione di migliaia di lastre di cartone, converte la leggerezza e l’inconsistenza del materiale in una presenza persistente e stentorea.

Giovanni De Angelis: Water Drops

25.06.201115.09.2011

a cura di Costanza Paissan

Il progetto fotografico di Giovanni De Angelis, “Water Drops”, affronta il tema della gemellarità da una doppia prospettiva, sociale ed antropologica, slegandosi dall’idea del semplice reportage per giungere ad approfondire i temi dell’identità, dell’unicità dell’individuo e del suo rapporto con l’altro.

Incuriosito da racconti e notizie provenienti da Candido Godoi, nello stato brasiliano di Rio Grande do Sul, il fotografo è partito alla volta della cittadina sudamericana per vedere con i propri occhi quella che viene chiamata “la terra dei gemelli”, sviluppando il progetto insieme alla psicoterapeuta Luisa Laurelli che ha potuto conoscere ed intervistare le coppie di gemelli incontrate per delinearne i profili. Le due facce della ricerca, quella artistica e quella scientifica, si sono così integrate per indagare a fondo la realtà sociale, psicologica e individuale di questo luogo e dei suoi abitanti.

Esther Stocker: Destino Comune

25.06.201130.10.2011

a cura di Elena Forin

Promosso da Roma Capitale, Assessorato alle Politiche Culturali e Centro Storico – Sovraintendenza ai Beni Culturali

Nuova installazione di Esther Stocker, prodotta in collaborazione con Oredaria Arti Contemporanee. Con “Destino comune”, Esther Stocker crea una fitta struttura composta da segni di scotch nero, che percorrono l’architettura e marcano l’andamento dei volumi.

Anche in questo caso, il punto di partenza del lavoro dell’artista è una griglia geometrica regolare, che viene scossa nella sua esattezza attraverso l’inserimento di opportuni “errori” per rappresentare il “danno del sistema”. Nell’attraversare lo spazio della sala così trasformato, lo spettatore entra in una dimensione non più pienamente riconoscibile, ma in uno spazio in cui sono gli errori a dare le coordinate e a catturare l’attenzione: l’individuo diventa quindi parte di questa imprecisione, che codifica un sistema di regole non più definite, ma attraversate da una certa vaghezza.

Mario Ballocco. Odissea dell’Homo Sapiens

30.09.201008.05.2011

Promossa da Roma Capitale, Assessorato alle Politiche Culturali e della Comunicazione – Sovraintendenza ai Beni Culturali
A cura di MACRO – CRDAV (Centro Ricerca e Documentazione Arti Visive)
Con la collaborazione di Archivio Mario Ballocco e Paolo Bolpagni
Con il contributo tecnico di Cassettiere MACRO: OTTART Prodotti per l’Arte

Immagine: Mario Ballocco, Homines impauriti dal sole nero, 1946-1950. Courtesy Archivio Mario Ballocco, Milano

Per la prima volta in mostra gli “Homines” di Mario Ballocco: entità stilizzate inquietanti, crudeli e disperate che incarnano le dinamiche antropologiche e sociali della nostra quotidianità: l’innamoramento, la conflittualità, la sottomissione, il tradimento, l’impegno culturale e politico e altro ancora.

La mostra presenta per la prima volta una serie inedita di 51 disegni, perlopiù in bianco e nero, eseguiti alla fine degli anni Quaranta. Una sorta di “commedia umana” tra il satirico e il grottesco, con punte di amara ironia. Il ciclo fu pensato per un libro poi non realizzato, di cui restano queste tavole straordinarie, che propongono un’analisi sottile e spietata delle dinamiche antropologiche e sociali che stanno alla base del nostro vivere: l’innamoramento, la conflittualità, la sottomissione, il tradimento, l’impegno culturale e politico.

Gli Homines di Ballocco sono entità stilizzate inquietanti, crudeli e disperate nei loro enormi occhi vuoti, nelle bocche spalancate a mostrare minacciosamente i denti. L’autore vi mette a nudo le passioni e i moventi più profondi dell’agire delle persone e delle masse, componendo una galleria di ritratti densa di umori sardonici. Si ritrova in quest’Odissea il pessimismo dei grandi moralisti, unito a un’ironia pungente, frutto di lucidità intellettuale e capacità di scavo. E un intenso slancio etico, che si traduce in inclinazione espressionista.

I disegni furono realizzati nel contesto della seconda metà degli anni Quaranta, dopo la fase terribile e traumatica della guerra. Anni in cui Mario Ballocco, all’inquieta ricerca di autenticità e “verità”, lascia l’Italia per l’Argentina, dove frequenta Lucio Fontana e tenta strade nuove. Ma rimane estraneo alle istanze del nascente Spazialismo, sviluppando invece l’esigenza di creare un’arte lontana dal tecnicismo, che scaturisca dal “principio interiore”, dalla più “ingenua, libera, primordiale natura”, “indipendentemente da preoccupazioni di contenuto e di forma”. Sono le premesse di “Origine”, il gruppo cui Mario Ballocco (tornato nel frattempo in Italia) dà vita a Milano nel 1950. Al sodalizio aderiscono Alberto Burri, Giuseppe Capogrossi ed Ettore Colla, ma l’esperienza si conclude già nei primi mesi del 1951, all’indomani della prima e unica esposizione comune, tenutasi a Roma in via Aurora.

La mostra è completata da una sezione documentaria costituita dagli esemplari dei dodici numeri della rivista “AZ”, fondata e diretta da Ballocco a Milano fra il 1949 e il 1952, e inoltre da cataloghi, fotografie d’epoca, missive e altri materiali utili a documentare l’attività dell’autore in quegli anni cruciali, in relazione al vivace contesto culturale e artistico del tempo. Sono in esposizione, tra l’altro, il rarissimo catalogo dell’unica mostra del Gruppo Origine (gennaio 1951), per l’occasione donato al CRDAV dall’Archivio Mario Ballocco, e l’originale di una lettera di Lucio Fontana a Ballocco, datata 12 settembre 1951.

In occasione della mostra, l’Archivio Mario Ballocco dona al MACRO due importanti dipinti emblematici di successivi momenti della produzione del pittore milanese: Reticolo nero – fondo grigio + giallo-arancio (1951) e Alternanza di contrasto (1962), che dal 25 ottobre prossimo saranno esposti nella sezione del Museo dedicata alla collezione permanente. Se il Reticolo è un capolavoro del periodo legato alla travagliata esperienza del Gruppo Origine, Alternanza di contrasto documenta il successivo sviluppo della ricerca di Ballocco in direzione di un’indagine del processo percettivo, all’interno della quale l’opera si pone come trattazione obiettiva di un “problema visivo”.

Nico Vascellari: Blonde

26.10.201022.05.2011

Promosso da Roma Capitale, Assessorato alle Politiche Culturali e della Comunicazione – Sovraintendenza ai Beni Culturali

Immagine: Nico Vascellari, Blonde, 2010. Courtesy dell’artista

Nico Vascellari, giovane artista di fama internazionale, presenta Blonde, progetto ideato per le parteti curve del Museo, che darà a questi ambienti di passaggio nuova vita e nuovi significati.

Il ciclo MACRO PROGETTI SPECIALI, iniziato nell’estate del 2009, dà la possibilità ad artisti della nuova scena artistica italiana e internazionale di invadere spazi alternativi del museo, per interagire con l’architettura e le sue potenzialità. I vani degli ascensori sono ormai la sede permanente delle installazioni di AVAF (Assume Vivid Astro Focus) e dell’opera Cadaveri Squisiti di Cuoghi Corsello, racconto luminoso che accompagna i visitatori nello spostamento tra i vari piani del museo. Francesco Simeti con Pastiche e Luca Trevisani con Lo spazio è un giardino da coltivare sono stati invece chiamati a intervenire sulle pareti curve degli atri, spazi gemelli che segnano l’ingresso alle sale espositive. È su queste superfici che viene presentata oggi l’opera Blonde di Nico Vascellari, giovane artista italiano di fama internazionale che darà a questi ambienti di passaggio nuova vita e nuovi significati.

Nico Vascellari interpreta le due pareti curve del MACRO come fase iniziale dell’elaborazione creativa del suo archivio cartaceo in cui colleziona immagini di donne con i capelli biondi tratte da magazine di moda e riviste. L’intervento al MACRO assume dimensioni architettoniche e installative, avvicinandosi all’iconografia e alla forma dei billboards pubblicitari che invadono gli spazi pubblici: le gigantesche figure femminili, inserite negli atri del museo, diventano creature inedite, esseri nuovi, inaspettati, sospesi tra sensualità, ironia e immaginazione. L’opera di Vascellari, pur evocando il linguaggio della comunicazione di massa e il flusso di informazioni visive dei media, si distacca da questo universo per divenire creazione innovativa di immagini. L’artista svilupperà in seguito il progetto in una pubblicazione in tiratura limitata, in cui verrà raccolto l’intero archivio.

Nico Vascellari è nato a Vittorio Veneto (Treviso) nel 1976. Ha realizzato numerose mostre personali in Italia e all’estero, tra cui: Centre International d’Art & Du Paysage, Vile de Vassiviere (2010), Marina Abramovic Institute, S. Francisco (2010), Museion, Bolzano (2010) , Soltanto un quadro al massimo, Villa Massimo, Roma (2010), Focus on, GC AC, Monfalcone (2009), I Hear A Shadow, LAP, Milano (2009), Untitled, Galleria Monitor di Roma (2009). Tra le collettive piu’ recenti: Terre Vulnerabili, Hangar Bicocca (2010), 5×5, EACC, Castellò in Spagna (2010), Arrivi e Partenze Europa, Mole Vanvitelliana, Ancona (2009), Number Three: Here and Now, Julia Stoschek Foundation, Dusseldorf (2009), Accecare L’Ascolto, Artissima, Torino (2009), Coates. Cormick & Vascellari, Neon Parc, Melbourne (2009), Marina Abramovic presents…, Manchester International Festival, Whitworth Art Gallery, Manchester (2009), No Soul For Sale, X Initiative, New York (2009), Rock – Paper – Scissors, Kunsthaus Graz am Landesmuseum Joanneum, Graz (2009), Manifesta7, Rovereto (2008), 52a Biennale Di Venezia, Venezia (2007). E’ tra i finalisti del Future Generation Art Prize al Pinchuk Art Centre di Kiev e del CAS Art Prize in Inghilterra. Fra i vari riconoscimenti ricevuti, si segnalano: Premio Acacia (2010), Premio New York, Ministero degli Esteri/Columbia University (2006), Premio per la Giovane Arte Italiana, DARC/MAXXI (2006-2007). Vive e lavora tra Vittorio Veneto e Londra.

Jamie Shovlin: Hiker Meat

26.10.201013.03.2011

Meat, il nuovo progetto dell’artista inglese Jamie Shovlin, è una ricostruzione reale di un film mai realizzato, una memoria di un passato non vissuto.

Il nuovo progetto di Jamie Shovlin (Leicester, 1978) è un omaggio al cinema d’exploitation degli anni ’70. L’artista ricostruisce nelle sale del MACRO la storia di un film mai realizzato, attraverso i materiali e gli studi che lo hanno costituito. Oggetto dopo oggetto lo spettatore entrerà nel mondo del film Hiker Meat che Shovlin mostra insieme all’archivio degli studi e degli oggetti di scena, dei costumi, dei dialoghi e dei trailer che ne hanno accompagnato l’uscita, trasformando così un evento immaginato in uno possibile e forse reale.

Le 20 lavagne che attraversano diagonalmente la sala raccontano e schematizzano la struttura del film di Jesus Rinzoli e a queste fanno riferimento gli oggetti di Hiker Meat creati da Shovlin che “si contraddicono, sono storici e nuovi e suggeriscono qualcosa che ancora deve avvenire”, insinuando il senso di una memoria mai esistita e affermando la volontà di condurre il pubblico verso il luogo in cui “il film e l’idea sono entrambi punto di partenza per l’immaginazione”.

Il film ricompare oggi da un passato dimenticato per prendere nuova vita nelle sale del MACRO, attraverso la ricostruzione di un maniacale collezionista. L’ambiente, carico di memorabilia, documenti, immagini, disegni e video diventa per il visitatore l’universo possibile di Hiker Meat.

Hiker Meat e il suo regista Jesus Rinzoli non sono mai realmente esistiti, come nemmeno la band tedesca Lustfaust, che ne ha realizzato la colonna sonora e che è stata oggetto della precedente serie di lavori dell’artista. Il progetto di Shovlin offre infatti anche uno spunto di riflessione sul viscerale legame tra immagine e suono, enfatizzato nel cinema d’exploitation dalla costante presenza di archetipi e miti, e celebrato anche dall’intensa relazione tra regista e musicista, come nel caso di Dario Argento e Goblin o di Lucio Fulci e Fabio Frizzi.

Il progetto dell’artista, nasce in un modo particolare, e questa è la storia che accompagna la stesura di tutte le fasi del film:

“Finanziato grazie a una combinazione di fondi derivanti dalla Svensk Filmindustri ed il denaro di dubbia provenienza dell’industria cinematografica pornografica francese, Hiker Meat nasce come un intenzionale e surreale sguardo verso i meccanismi più reconditi della immaginazione comunista, caratterizzando così la regia dissoluta e provocatoria di Rinzoli. Nota per le estese sequenze oniriche e la martellante colonna sonora, il film divenne una delle prime vittime della nascente campagna Video Nasty promossa dalla BBFC (British Board of Film Classification) nel 1984. Anche prima del suo ritiro dagli scaffali dei videonoleggi britannici Hiker Meat era già stato oggetto di numerosi tagli e ri-editazioni sollecitati dal distributore del film, Pieter Jons, e dovuti al difficile soggetto del film. Come spiega Rinzoli ‘Jons vide il film come pesante critica al sogno americano – e per questo come prodotto non commerciabile nel mondo occidentale – e troppo pro-comunista; mi ordinò di girare più spezzoni e di cambiare il film. Quando ho educatamente rifiutato, lui stesso ha deciso di cambiare il film’. Le alterazioni post-produzione inclusero ulteriori tagli ed un nuovo doppiaggio del film di Rinzoli, risultando in una grande varietà di versioni differenti in circolazione. Jons inoltre modificò il titolo del film a seconda del luogo in cui questo veniva proiettato, alterando drasticamente il suo significato in molte nazioni. Il distributore insistette inoltre nell’aggiunta di una sequenza onirica totalmente estranea (proveniente da un film che Rinzoli stava girando in quel momento), di numerose scene hard e di più sangue nei tanti omicidi presenti nel film”.

Jamie Shovlin è nato nel 1978 a Leicester, nel Regno Unito. Vive e lavora a Londra, dove ha compiuto i propri studi artistici al Royal College of Art. Tra le mostre personali si segnalano nel 2006 “In Search of Perfect Harmony” alla Tate Britain e “Lustfaust: A Folk Anthology 1976-1981”, presso la Freight & Volume Gallery di New York, nel 2007 “A Dream Deferred” alla Haunch of Venison di Londra, nel 2009 “The Nature of Our Business” presso Outpost a Norwich. In Italia ha partecipato alla sezione Present/Future di Artissima nel 2007 ed eseguito la performance Lustfaust al MADRE di Napoli nel 2008. L’artista è stato presente in mostre collettive organizzate presso l’ICA di Londra (2006), il Manchester Museum (2007), l’IKSV di Istanbul nel 2009.

Origine, Forma, Natura. Opere della Collezione MACRO

26.10.201006.02.2011

Promossa da Roma Capitale, Assessorato alle Politiche Culturali e della Comunicazone – Sovraintendenza ai Beni Culturali

MACRO presenta un nuovo allestimento della propria collezione che in questa occasione sottolinea le origini di una sperimentazione tesa a ridefinire i concetti di spazio, forma e segno, per tracciare l’universo di una nuova natura che abbraccia figurazione e meccanicità.

Origine, Forma, Natura sono innanzitutto tre vocazioni che si ritrovano in molte delle opere della collezione del MACRO, oggi arricchitasi di nuovi comodati e donazioni.

Con l’ironica Coda di cetaceo di Pino Pascali, proveniente da Palazzo Collicola Arti Visive di Spoleto, e che si presenta grazie al nuovo rapporto tra musei italiani, si mostra una forma e un senso della natura, che grazie alla donazione dei Fleximofoni di Piero Fogliati, lascia parlare anche il suo opposto meccanico, capace tuttavia di generare una naturale poesia attraverso l’arte.

In un gioco di parole nel titolo invece, origine può far pensare alla collezione come origine per il Museo, ma anche a Roma e alla contemporaneità storica del Gruppo Origine (1950-1951), rievocato grazie alle donazioni dell’Archivio Ballocco (con approfondimento della mostra al CRDAV al 1° piano) e a personalità di artisti come Capogrossi, Colla e altri che hanno dato vita alla contemporaneità a Roma, e che in questa sala è possibile vedere con gli occhi dell’attualità.

Incontrati in tv. I documentari di Franco Simongini

26.10.201012.06.2011

Promossa da Roma Capitale, Assessorato alle Politiche Culturali e della Comunicazone – Sovraintendenza ai Beni Culturali

Immagine: Franco Simongini con Giorgio De Chirico ad Atene sul set del film: “Il mistero dell’infinito”, 1974, fotografia, Courtesy Archivio Simongini 

Una straordinaria mostra audiovisiva dedicata a uno dei grandi protagonisti del documentario d’autore: guidati tra opere e protagonisti dalle parole di Franco Simongini, i visitatori possono qui incontrare i grandi artisti italiani del XX secolo, entrando nei loro studi e ascoltando la loro voce.

MACRO – Museo d’Arte Contemporanea Roma – presenta una mostra audiovisiva dedicata a Franco Simongini, straordinario protagonista del documentario d’autore, ampliando l’offerta del Museo anche a questa tipologia di materiali così significativi per la conoscenza dell’arte contemporanea. Secondo una rotazione settimanale, è prevista la proiezione di un’ampia selezione dei suoi documentari realizzati per la RAI a partire dagli anni Settanta, in cui l’autore dialoga con i più grandi artisti italiani, facendone emergere dei ritratti in video incredibilmente attuali nella loro chiarezza e vitalità.

Presso la sala conferenze del MACRO verranno proiettati i documentari di Simongini su Afro, Alberto Burri, Giuseppe Capogrossi, Giorgio de Chirico, Enzo Cucchi, Giulio Turcato, Renzo Vespignani, e poi ancora Mario Ceroli, Fabrizio Clerici, Pietro Consagra, Agenore Fabbri, Pericle Fazzini, Franco Gentilini, Renato Guttuso, Giacomo Manzù, Marino Marini, Umberto Mastroianni, Fausto Melotti, Giulio Paolini, Pino Pascali, Achille Perilli, Inserto Scipione, Riccardo Tommasi Ferroni.

“Era un giornalista con ampie vedute. Era capace di ascoltare, accordando la massima libertà e poi naturalmente, quando il servizio veniva registrato in pellicola, lo ‘aggiustava’ abilmente. Simongini lavorava sul montaggio: era perfettamente liberale, non aveva né pregiudizi, né punti di vista precostituiti. Le sue domande, poi, erano sempre molto semplici, in modo da poter essere capite da tutti. La televisione deve essere compresa dalla gente; se diventa astrusa, è inutile”. Così Federico Zeri, suo collaboratore e amico, descriveva Simongini nella sua relazione aperta e creativa con gli artisti, tesa a una diffusione intelligente e libera del linguaggio visivo contemporaneo, attraverso il medium televisivo.

La mostra Incontrati in TV. I documentari di Franco Simongini offre una straordinaria selezione dalle serie di documentari più significative realizzate da Simongini per la RAI, in questa occasione proposte all’attenzione del pubblico nella loro ricchezza di prospettive e protagonisti: Ritratto d’autore (1971-1977), pensata come sguardo sulla vita e l’attività creativa dell’artista, in un dialogo aperto in cui insieme al conduttore e all’artista intervengono esperti e pubblico in studio; Artisti d’oggi (1974-1993), concepita come serie di ritratti costruiti attraverso lunghe interviste, in cui mentre l’autore “si confessa”, la telecamera inquadra particolari del volto e delle mani, alternandoli ai primi piani delle sue opere; Come nasce un’opera d’arte (1975-1976), tesa a presentare gli artisti all’opera nel loro studio, disvelando nelle loro parole il processo di creazione dell’immagine nel suo stesso farsi.
Simongini era insieme occhio e giudizio, custode e creatore di una inesauribile memoria dell’arte nella televisione: il suo obiettivo era quello di trasmettere al vasto pubblico televisivo il panorama artistico più esteso, dal figurativo all’astrazione, alla più avanzata avanguardia, raccontando genesi e significati delle opere d’arte attraverso le parole dei loro stessi autori, affinché a tutti fossero accessibili i diversi universi possibili dischiusi dall’azione creativa. Testimonianze preziose, che insieme alle opere fanno rivivere gli aspetti quotidiani ed umani degli attori-autori che hanno creato la storia dell’arte del nostro tempo: non nella mediazione della carta stampata o della fotografia, ma nella vitalità della ripresa televisiva, grazie alla quale è possibile vedere l’artista muoversi nel suo studio, toccare e commentare le sue opere. Ritratti dal vero di questi protagonisti “incontrati in TV”, che offrono uno straordinario, immateriale, attualissimo libro in movimento a chi voglia conoscere l’arte “in diretta”.

Franco Simongini (Roma 1932-1994) è stato regista, critico d’arte, poeta e narratore. Ha lavorato alla RAI come giornalista e regista a partire dal 1961, collaborando alla realizzazione di programmi culturali quali “Arti e Scienze” e “L’Approdo” e poi ideando e curando in prima persona fondamentali serie di documentari d’arte, come “Ritratto d’autore” (1971-1977), presentato da Giorgio Albertazzi; “Artisti d’oggi” (1974-1993); “Come nasce un’opera d’arte” (1975-1976); “A tu per tu con l’opera d’arte” (in onda nei primi anni Ottanta), in collaborazione con Federico Zeri e con testi di Cesare Brandi. Nel corso degli anni Simongini ha stretto una lunga e profonda amicizia con molti artisti (tra cui Afro, Alberto Burri, Giuseppe Capogrossi, Piero Dorazio, Pericle Fazzini, Renato Guttuso, Giacomo Manzù, Marino Marini, Renzo Vespignani) e con Giorgio de Chirico in particolare, nel segno di una comune passione per la poesia. Per la sua fondamentale attività televisiva Simongini è stato ampiamente citato, tra gli altri, da Aldo Grasso in “Enciclopedia della televisione” (Garzanti, 1996) e da Luisella Bolla e Flaminia Cardini in “Le avventure dell’arte in Tv” ( Nuova Eri, 1994).

Nicola Carrino: Ricostruttivo

26.10.201006.02.2011

Promossa da Roma Capitale, Assessorato alle Politiche Culturali e della Comunicazone – Sovraintendenza ai Beni Culturali

La hall del Museo si trasforma in una grande scultura attraversabile, grazie alla scansione del suo spazio proposta da Nicola Carrino: un grande percorso accogliente per il visitatore che l’artista ha concepito appositamente per il cuore pulsante del museo.

Si intitola Ricostruttivo il nuovo intervento che Nicola Carrino, un grande maestro della scultura contemporanea, ha pensato appositamente per la hall del MACRO di via Reggio Emilia in occasione del nuovo ciclo espositivo della stagione autunnale. L’artista ha scelto di “ricostruire” questo spazio così vitale nell’architettura del museo, che ne costituisce il cuore pulsante e il fulcro visivo, collocandovi una serie di grandi parallelepipedi che ne segnano e scandiscono lo spazio, secondo una griglia ideale che propone al visitatore un percorso alternativo e possibile.

L’artista descrive così questo suo intervento: “La scultura è la forma del luogo, anzi il luogo stesso. I Ricostruttivi come i precedenti Costruttivi e Decostruttivi, sono organismi plastici disponibili alla trasformazione, in genere composti da 9 elementi modulari parallelepipedi di 75 x 75 x 300 cm l’uno, di cui 6 realizzati in acciaio inox molato e 3 in acciaio corten. Nell’intervento per MACRO, il Ricostruttivo dispone i 9 moduli in ordine planare, in accordo allo spazio di ingresso, alternandoli orizzontalmente secondo una possibile griglia distributiva. Il risultato di ordine ambientale e partecipativo, determina un contesto unitario luogo-scultura, abitabile e percorribile, in analogia ad un possibile percorso urbano, volumetricamente percepibile secondo valori di luce e materia”.

L’intervento di Carrino per il MACRO si pone in continuità con la sua ricerca plastica, che dagli anni Sessanta si è caratterizzata nella costante relazione con gli spazi condivisi della città: in dialogo con essi, l’artista ha concepito interventi tesi a modificare le loro coordinate spaziali e materiali, creando nuove possibilità di relazione tra ambiente urbano e presenza umana. Carrino pensa la scultura non come entità autosufficiente, oggetto autonomo da collocare nello spazio, ma come presenza razionale che permette di “costruire” e “ricostruire” luoghi possibili di relazione tra esseri umani, attraverso volumetrie, forme, materiali che rendono possibili nuovi percorsi e attraversamenti dello spazio condiviso. Il suo lavoro è sempre una presenza che interroga e modifica il luogo per il quale viene concepito: con esso l’artista instaura un rapporto creativo, interpretandone le dimensioni, le morfologie, le caratteristiche architettoniche, le coordinate spaziali, nell’intento di attivare una sua possibile identità vitale, rendendolo abitabile e percorribile dalla presenza umana in modi inconsueti e nuovi. La scelta dei materiali, nel dialogo tra il lucente e ‘freddo’ acciaio inox molato e il ‘caldo’ acciaio corten alternati secondo una progressione regolare, è funzionale all’idea di voler creare in questo spazio architettonico un luogo dalle diverse ‘temperature’ e intensità luminose.

Con Ricostruttivo, Carrino sottolinea la dimensione di condivisione e praticabilità che caratterizza la hall del MACRO nella sua identità di ‘piazza’ possibile, aperta e accogliente, per la città di Roma: luogo nel quale l’immagine plastica incontra lo spazio, facendo scoprire possibili e nuovi percorsi di relazione per i suoi visitatori.

Nicola Carrino (Taranto 1932) vive e lavora a Roma. Docente di Scultura nelle Accademie di Belle Arti sino al 1992, Accademico di San Luca dal 1993 e Presidente dell’Accademia di San Luca dal 2009. Nel 2009 è nominato Académico Correspondiente dell’Academia Nacional de Bellas Artes de Buenos Aires. Dal 1952 al 1962 si dedica alla ricerca pittorica dal realismo all’informale. Dal 1962 al 1967 fa parte del Gruppo 1 di Roma svolgendo ricerche razionali. Dal 1967 progetta opere pubbliche in relazione all’architettura e al paesaggio e realizza interventi installativi con sculture modulari in ferro e acciaio inox, componibili e trasformabili che denomina Costruttivi Trasformabili, Decostruttivi, Ricostruttivi. Partecipa alle Biennali di Venezia (1966, 1970, 1976, 1986), di Parigi (1967), di San Paolo del Brasile (1971, 1979), alle Quadriennali di Roma (1965, 1973, 1986, 1999). Sue opere sono presenti nelle collezioni romane della GNAM, della Fondazione La Quadriennale e del MACRO, del MUSMA di Matera, del Mart di Rovereto, del Neues Museum für Moderne Kunst di Norimberga, del Museum Boymans Van Beuningen di Rotterdam e del Tel Aviv Museum of Art. Fra le opere permanenti in spazi pubblici realizza il Rilievo di facciata del Complesso Corviale IACP (Roma, 1974) e il Riassetto Urbano della Piazza Fontana (Taranto, 1983-1992). Nel 1971 riceve il Premio Internazionale Bienal de São Paulo alla XI Biennale di San Paolo del Brasile.

Laboratorio Schifano

26.10.201030.10.2011

a cura di Massimo Barbero, Francesca Pola e Archivio Mario Schifano

Evento promosso da Roma Capitale, Assessorato alle Politiche Culturali e della Comunicazione – Sovraintendenza ai Beni Culturali
Con la collaborazione di Archivio Mario Schifano – Festival Internazionale del Film di Roma – Fondazione Cinema per Roma
Con il contributo di Toyota Motor Italia S.p.A

Immagine: Mario Schifano, Senza titolo, anni ’90, © Archivio Mario Schifano

Una straordinaria immersione nel cuore della creatività di Mario Schifano, una delle figure più innovative del panorama artistico internazionale della seconda metà del XX secolo.

Grazie alla collaborazione tra MACRO e l’Archivio Mario Schifano vengono presentate al pubblico per la prima volta più di duemila immagini realizzate da Mario Schifano, esposte secondo uno speciale allestimento teso al coinvolgimento del pubblico nell’inarrestabile flusso creativo dell’artista: un grande labirinto trasparente e percorribile, nel quale si susseguono sospese.

Inedite polaroid, fotografie e fotocopie a colori – spesso dipinte – saranno presentate insieme a immagini manipolate tratte da giornali e riviste e fogli di appunti, per ricostituire idealmente e fisicamente il laboratorio creativo di Schifano, anche grazie alla presenza di filmati inediti realizzati con materiali audiovisivi originali dell’artista.

Laboratorio Schifano accompagna così lo spettatore nell’istintiva e inarrestabile esigenza espressiva dell’artista, una ricostruzione di come Schifano attraverso la raccolta e la manipolazione di centinaia di immagini avesse creato intorno a sé un luogo genetico e concettuale in cui provare e sperimentare incessantemente segni e colori, accostando e deformando figure e passaggi. Le fotografie esposte al MACRO sono le stesse che Schifano teneva a lungo sul suo tavolo da lavoro per poterle rinnovare, cancellare e trasformare: in una sorta di vera e propria palestra per la sua mente e i suoi occhi, l’artista registrava le informazioni create per poi dipingerle, creando in questo modo un dialogo sperimentale tra immagini e pittura.

A partire dagli anni Ottanta, Schifano usa prima le polaroid e poi le fotografie a colori di piccolo formato come laboratorio concettuale dei suoi lavori pittorici, provando e sperimentando segni e colori, accostandoli alle immagini. Nell’ultima fase della sua opera, a partire dagli anni Novanta, l’artista tende ad intervenire sempre di meno sulle immagini fotografiche, dando vita a nuove soluzioni iconografiche solo con la scelta e il taglio delle inquadrature.

Il MACRO mette in mostra uno straordinario corpus che l’Archivio Mario Schifano ha raccolto, documentato e ordinato nel corso di un lungo lavoro di ricerca, oggi per la prima volta presentato al pubblico in chiave autonoma e sistematica, attraverso una preziosa selezione che ne testimonia continuità, varianti e significati.

Per Schifano la fotografia è strumento e fine di esplorazione dei nuovi linguaggi e statuti dell’informazione e della comunicazione, secondo la straordinaria attualità e contemporaneità della sua visione transmediale, espressa dalle sue immagini manipolate attraverso la pittura e il loro intrecciarsi e ripetersi variando. L’artista interpreta l’epoca della nuova comunicazione massificata rileggendo l’immaginario collettivo e restituendone un’immagine che tende a interpretare con straordinario spirito critico e anticipatore le dinamiche di relazione globalizzata della cultura visiva.

In occasione della mostra, sarà pubblicato da Electa Mondadori un catalogo bilingue (italiano e inglese), con un testo di Luca Massimo Barbero e Francesca Pola, un’intervista a Achille Bonito Oliva e un contributo dell’Archivio Mario Schifano, immersi nel flusso visivo di queste straordinarie immagini inedite.

L’Archivio Mario Schifano è nato nel 2003 per volontà dei legittimi eredi con lo scopo di valorizzare, tutelare e autenticare l’opera dell’ artista. L’Archivio, presieduto da Monica Schifano, gestisce tutti i copyrights, collabora con le principali case d’asta internazionali e partecipa con privati e istituzioni alla realizzazione di eventi culturali (Fondazione Marconi Milano 2005-2006, Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea Roma 2008, Fondazione Dino Zoli 2008, Centro Studi e Archivio della Comunicazione Parma 2008, Museo d’Arte della Città di Ravenna 2009…).

Antony Gormley: Drawing Space

26.10.201012.06.2011

a cura di Luca Massimo Barbero e Anna Moszynska

Promosso da Roma Capitale, Assessorato alle Politiche Culturali e della Comunicazione – Sovraintendenza ai Beni Culturali

Immagine: Antony Gormley, Mansion, 1982, Black pigment, oil, charcoal on paper, 84 x 60 cm

La prima esposizione in un museo italiano dedicata ai disegni dell’artista inglese Antony Gormley, tra i più stimati scultori del panorama artistico contemporaneo.

Drawing Space è la più ampia mostra di disegni di Antony Gormley (Londra, 1950) mai presentata in Italia: più di 80 tavole prodotte dal 1981 a oggi. La mostra raccoglie molte opere inedite – provenienti da collezioni private, dalla collezione personale dell’artista e un lavoro chiave dal British Museum di Londra – che illustrano il dialogo costante tra disegno e scultura nell’opera trentennale dell’artista inglese. Le opere esaminano il percorso dell’arte di Gormley, che parte dalla ricerca sulla massa e sul volume e approda al disegno dello spazio in quanto tale. Quattro sculture cruciali accompagnano le tavole svelando la trasmigrazione della linea dalla superficie della carta allo spazio architetturale ad essa strettamente collegato. La mostra è curata da Luca Massimo Barbero, direttore del MACRO e dalla critica e docente universitaria Anna Moszynska.

Il disegno è sempre stato essenziale nell’opera di Gormley: spesso intrapreso nel cuore della notte, ha una spontaneità e immediatezza che libera la linea, la macchia e il pigmento in un’ampia gamma di fluidi e materiali anche insoliti. Il disegno consente all’artista di allontanarsi dal lento processo della scultura e ritrovare in una modalità del pensiero e del sentire al di là dei confini del corpo la condizione astratta dell’architettura: lo spazio profondo, l’acqua scura, gli strati del tempo geologico. Sempre sperimentali, intesi a mettere in discussione il limite del mezzo espressivo in momenti di intensa concentrazione, i disegni registrano i movimenti intimi della mano e del corpo, oltre all’intuizione inconscia dell’artista. La loro varietà e l’intensità li definiscono quali opere grafiche a pieno diritto e non semplici studi sculturali. Attraverso il comportamento della linea, del minerale e degli strumenti utilizzati, i disegni diventano il mezzo attraverso cui viene rivelato il processo del “vedere in azione”.

Drawing Space comincia con le opere diagrammatiche del 1981, che l’artista considera alla base della propria scultura – “senza questi disegni la scultura non sarebbe stata possibile” – prosegue con i notturni degli anni Novanta dove si ricercano i nessi fra “il corpo come luogo” e “lo spazio in generale”, e si conclude con le opere più recenti, un capitolo in cui la linea viene liberata dal peso della descrizione ed esaltata quale principio energizzante usata per attivare lo spazio dell’osservatore. Drawing Space è la prima mostra che considera l’evoluzione del disegno di Gormley e il rapporto tra le esplorazioni grafiche e lo sviluppo della sua scultura.

Il catalogo pubblicato da Electa Mondadori (italiano / inglese) ricostruisce il tracciato storico dei disegni. Nel suo saggio, Anna Moszynska analizza il significato storico e critico della produzione grafica di Gormley, mentre Luca Massimo Barbero mette a fuoco, in un illuminante conversazione con l’artista, le potenti tensioni della sua visione. Le molte immagini che accompagnano i saggi illustrano i processi mentali e fisici che sottendono questa straordinaria opera grafica.

Antony Gormley nasce a Londra nel 1950. La sua opera viene esposta in Gran Bretagna con mostre personali alla Whitechapel, alla Tate, all’Hayward e al British Museum, e nei musei internazionali quali il Louisiana Museum di Humlebaek, la Corcoran Gallery of Art a Washington DC, in Svezia alla Malmö Konsthall e al Moderna Museet di Stoccolma, in Austria alla Kunsthaus di Bregenz e all’Antiguo Colegio de San Ildefonso di Città del Messico. Partecipa a mostre collettive al Museum of Modern Art di New York, al Los Angeles County Museum of Art, a La Biennale di Venezia e a Kassel Documenta 8. Tra le molte opere allestite in spazi pubblici: Angel of the North (Gateshead, Newcastle), Another Place (Crosby Beach, Liverpool), Habitat (Anchorage, USA) ed Exposure (Lelystad, Olanda).

MACROradici del contemporaneo: L’Attico di Fabio Sargentini 1966 –1978

26.10.201012.06.2011

a cura di Luca Massimo Barbero e Francesca Pola

Promosso da Roma Capitale, Assessorato alle Politiche Culturali e della Comunicazione – Sovraintendenza ai Beni Culturali
Con la collaborazione di Galleria L’Attico e Festival Internazionale del Film di Roma – Fondazione Cinema per Roma

Immagine: Fabio Sargentini osserva i cavalli di Kounellis che entrano nel garage de L’Attico, gennaio 1969. Foto di Claudio Abate

Uno straordinario viaggio visivo, che attraversa le immagini, i luoghi, i linguaggi, i protagonisti e le culture che hanno percorso la Roma sperimentale e internazionale degli anni Sessanta.

Dopo “Cesare Zavattini inedito” e “A Roma, la nostra era avanguardia”, prosegue il progetto dedicato alle “MACROradici del contemporaneo”, con una nuova mostra, a cura di Luca Massimo Barbero e Francesca Pola, dedicata a uno degli spazi più sperimentali e innovativi che hanno caratterizzato la scena artistica della città di Roma: la galleria L’Attico, diretta a partire dal 1966 da Fabio Sargentini.

Interprete di una visione innovativa, dinamica, aperta e performativa dello spazio espositivo, nel 1968 Sargentini apre al pubblico il celebre garage di via Beccaria, primo spazio artistico italiano letteralmente underground, pensato non come contenitore di mostre, ma come luogo che in se stesso fosse in grado di sollecitare nuove soluzioni creative, aperte alle contaminazioni e alle interferenze dei diversi linguaggi, dall’arte, alla musica, alla danza, al teatro. Si saldano così nell’attività de L’Attico due “radici” fondanti, di sorprendete fecondità e attualità, che vengono indagate e approfondite dalla mostra: luoghi e idee germinali, che anticipano di decenni la dimensione interferente e spettacolare che oggi caratterizza il rapporto libero della contemporaneità con l’universo delle immagini.

La prima “radice” è esemplificata dal rapporto privilegiato che, all’inizio della sua attività, ha legato Sargentini all’opera di due protagonisti della scena artistica romana dell’epoca: Pino Pascali e Jannis Kounellis, con il loro rivoluzionario rapporto autenticamente fisico con lo spazio e le materie del mondo. Una esperienza che culmina nella straordinaria mostra “Fuoco Immagine Acqua Terra”, del giugno 1967, dove la dialettica tra natura e artificio trova una sua sintesi tesa al coinvolgimento del visitatore in una dimensione polisensoriale, e la propria diffusione su scala mondiale con la rivoluzionaria mostra di Kounellis del gennaio 1969, in cui l’artista espone nel garage di via Beccaria dodici cavalli vivi.

Questa interazione tra l’opera, il corpo e lo spazio genera una dimensione nuova e dinamica, che Sargentini interpreta nel suo recepire l’altra grande “radice”: la nascente performance, che egli pioneristicamente propone sulla scena italiana, invitando a lavorare nel garage di via Beccaria i suoi grandi protagonisti internazionali (come Simone Forti, La Monte Young, Trisha Brown, Philip Glass, Joan Jonas, Steve Reich, Steve Paxton), in festival come “Danza Volo Musica Dinamite” del giugno 1969 e “Music and Dance USA” del giugno 1972.

La sensibilità alle sollecitazioni della relazione con lo spazio si traduce per Sargentini anche nell’estensione dell’azione artistica al contesto, come testimonia la sua attività che promuove esperienze come Lavori al Circo Massimo di Eliseo Mattiacci o la grande opera di Land Art Asphalt Rundown, realizzata nel 1969 sulla Laurentina da Robert Smithson.

Analogamente e in modo complementare, Sargentini recepisce le sollecitazioni alla modificazione attiva degli spazi, attraverso i Wall Drawings del minimalista Sol LeWitt (prima personale italiana) e le azioni di Joseph Beuys, ma anche l’esigenza di uscire dai luoghi deputati all’arte, trasformando temporaneamente la sua galleria in una palestra in cui esercitare una “Ginnastica mentale” e portando L’Attico “in viaggio”, prima sul Tevere e poi in India, secondo una prospettiva interculturale che, ancora una volta precorrendo i tempi, si estende alla relazione con l’Oriente.

Il racconto visivo di queste esperienze è presentato in mostra attraverso le straordinarie fotografie di Claudio Abate, definito all’epoca da Sargentini “testimone oculare di avvenimenti”, nel suo interpretare con assoluta precisione il carattere aperto, dinamico, sperimentale dell’attività dell’Attico in tutte le sue espressioni. In dialogo con queste, e con esse raccolte nelle speciali cassettiere MACRO, altre immagini contribuiscono a restituire la vitalità di queste sollecitazioni: scatti di altri fotografi; documenti originali che ne testimoniano la fecondità ideativa; pubblicazioni realizzate da L’Attico secondo una veste grafica sempre differente e innovativa, in linea con il modificarsi e il contaminarsi dei linguaggi; opere e oggetti che materializzano suggestioni e incontri. Un touchscreen interattivo e un video realizzato per l’occasione costituiscono ulteriori luoghi di approfondimento ed esplorazione di queste “radici”.

Quale fulcro visivo e scenico della mostra, sul muro di fondo della sala, si trova la saracinesca originale del garage di via Beccaria, che ha al centro un fiore nero dipinto da Kounellis, e sulla quale viene proiettata una selezione di immagini filmate storiche di ciò che accadeva a L’Attico, in una sorta di installazione pensata da Sargentini appositamente per questa circostanza.

In occasione della mostra, sarà pubblicato da Electa un catalogo bilingue (italiano e inglese), con testi di Luca Massimo Barbero e Francesca Pola, una intervista a Fabio Sargentini e una selezione di testi originali che, quale contrappunto alle straordinarie immagini fotografiche, intendono restituire la vitalità di una storia che oggi rileggiamo in tutta la sua attualità creativa e propositiva.

Roommates / Coinquilini: Carola Bonfili e Luana Perilli

26.10.201015.05.2011

a cura di Ilaria Gianni e Gabriele Gaspari; coordinamento curatoriale di Costanza Paissan

Promosso da Roma Capitale, Assessorato alle Politiche Culturali e della Comunicazione – Sovraintendenza ai Beni Culturali

Con la collaborazione di Festival Internazionale del Film di Roma e Fondazione Cinema per Roma

Terzo appuntamento del ciclo roommates / coinquilini, progetto con cui il Museo si apre all’attività di giovani artisti e curatori della scena romana, chiamati a condividere un’unica sala, come se fosse un appartamento.

All’interno di una sala espositiva al primo piano, artisti e curatori sono invitati a elaborare l’allestimento di opere inedite condividendo uno spazio comune. Il risultato è così simile a quello di un appartamento in cui convivono identità diverse, un contesto in cui le differenze rimangono visibili e allo stesso tempo si determinano situazioni di incontro e di scambio. Il progetto roommates / coinquilini continua così a stimolare il dialogo tra il MACRO e la città, un impegno per creare un rapporto dinamico, interattivo e capace di favorire nuovi discorsi espositivi.
Protagoniste sono questa volta Carola Bonfili e Luana Perilli, presentate rispettivamente dai curatori Ilaria Gianni e Gabriele Gaspari. A dimostrazione delle infinite possibilità di dialogo e convivenza promosse dal progetto, vengono scelte due artiste che lavorano con lo stesso medium, il video, utilizzato però secondo modalità completamente diverse.

Carola Bonfili presenta l’opera Kipplelake, una complessa installazione in forma di scala in cui il visitatore è invitato a immergersi fisicamente, per scoprire un mondo di immagini vibranti e mobili, dove gli oggetti quotidiani si riconoscono solo a uno sguardo attento, per via della mediazione straniante del video. Si entra così in una dimensione misteriosa e affascinante, simile a quella di un sogno o di un ricordo d’infanzia, nella quale il reale e l’immaginario si sfiorano ed emergono paure e desideri, evocati anche grazie al progetto sonoro di Matteo Nasini in sottofondo. L’installazione di Carola Bonfili dialoga con lo spazio, presentandosi esternamente come una tribuna su cui il pubblico può sedersi per guardare il video della seconda artista, proiettato sulla parete di fondo della sala.

The Man of the season (in loving memory of loving memories) è il progetto presentato da Luana Perilli, sviluppato a partire dal 2007 e articolato tra fotografia, scultura e animazione stop-motion, elemento centrale dell’intero lavoro. Nel video, presentato per la prima volta al MACRO, l’artista indaga le possibilità della narrazione attraverso un’operazione di scripting e montaggio, che delinea scenari diversi attraverso l’uso delle medesime unità narrative. Combinando l’estetica del cinema muto e dei suoi personaggi con il riferimento ad alcune scene iconiche della storia del cinema, in The Man of the season l’artista mette in opera un sottile lavoro di strutturazione, in cui le dinamiche di un classico ménage à trois vengono declinate in tre intrecci differenti.

I lavori di Carola Bonfili e Luana Perilli, in cui le immagini in movimento esprimono le proprie molteplici potenzialità, generano all’interno dello spazio una comunicazione del tutto nuova: un confronto tra narrazione e potere evocativo delle immagini.
Nel contesto della variegata programmazione espositiva del MACRO, il ciclo roommates / coinquilini si presenta come una possibilità di concreto rapporto del Museo con la città e il suo tessuto culturale e artistico. Uno spazio di dialogo caratterizzato dalle differenze, la contemporaneità e la molteplicità dei linguaggi.

Carola Bonfili è nata a Roma nel 1981. Vive e lavora tra Roma e New York. La sua ricerca artistica spazia dal disegno al collage, dalle installazioni al video. Tratto costante è la manipolazione, attraverso sovrapposizioni o rielaborazioni, delle immagini e degli oggetti, che perdono così la propria fissità e diventano spunto per visioni surreali o intime riflessioni. L’artista ha partecipato a numerose mostre collettive, tra cui ricordiamo La Danse Macabre presso Nomas Foundation a Roma (2010), Lo Sguardo di Giano presso l’American Academy e la selezione per Emerging Talents Award presso la Fondazione Palazzo Strozzi nel 2009, Nothing’s gonna change my world con 1:1 projects presso l’Istituto Svizzero e Iscrizioni presso la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo a Guarene nel 2008. Tra le mostre personali, Millennium Combo nel 2008 e shit & shine nel 2006 presso la galleria e x t r a s p a z i o di Roma.

Luana Perilli è nata a Roma, dove attualmente vive e lavora, nel 1981. Il suo lavoro è basato sull’analisi del linguaggio, delle strutture narrative e della memoria attraverso l’uso di media diversi, dall’installazione alla scultura, dal video all’animazione, ai progetti site specific. Numerose le partecipazioni a mostre collettive in Italia e all’estero, tra cui quelle al Gaza’s First International Festival for Video Art, Forward looking, MACRO FUTURE, Roma, La follia dell’arte a Villa Rufolo a Ravello, She Devil presso lo Studio Stefania Miscetti a Roma, Video as Video: Rewind to Form, Swimming pool project space, Chicago, USA, Titled/Untitled presso Wunderkammern a Roma. Nel 2008 ha partecipato alla XV Quadriennale d’Arte di Roma. Tra le personali ricordiamo del 2010 The Bay Window Project presso SybinQArt Project a Londra, Manutenzione sentimentale della macchina celibe presso The Gallery Apart a Roma nel 2009. Lo stesso anno ha ricevuto il premio Musicbox alla fiera ArtO di Roma e il Premio Termoli. Ha partecipato inoltre a residenze all’estero presso la Cité Internationale des Arts, Parigi attraverso un premio di Incontri Internazionali D’Arte e ArtOMI, New York su selezione della Dena Foundation for Contemporary Art. Nel 2010 è stata selezionata per il Pan Studios Program presso il Palazzo delle Arti di Napoli. Dal 2007 collabora alle attività di 26cc, spazio curatoriale indipendente a Roma. Dal 2009 insegna presso la Cornell University.

Labirinto Fellini

30.10.201030.01.2011

a cura di Gian Luca Farinelli

MACRO Testaccio

Ideata da Camilla Morabito e a cura di Gian Luca Farinelli (Direttore della Cineteca di Bologna)
Prodotta dalla Cineteca di Bologna e promossa dall’Assessorato alle Politiche Culturali e della Comunicazione di Roma Capitale
Con la collaborazione di Fondazione Cinema per Roma – Festival Internazionale del Film di Roma, MACRO e Zètema
Main Sponsor BNL Gruppo BNP Paribas e GUCCI. Sponsor ACEA e Parsitalia
Con il patrocinio di MIBAC – Direzione Generale per il Cinema, Assessorato alla Cultura, Arte e Sport della Regione Lazio, Assessorato alle Politiche Culturali della Provincia di Roma. Sponsor sistema Musei in Comune BNL Gruppo BNP Paribas, Unicredit Banca di Roma, Monte dei Paschi di Siena, banche tesoriere del Comune di Roma
E con il supporto di Centro Sperimentale di Cinematografia -Cineteca Nazionale, Cinecittà Luce e Fondazione Federico Fellini.

In occasione del Festival Internazionale del Film di Roma, nel cinquantesimo anniversario de La Dolce Vita e a novant’anni dalla nascita di Federico Fellini, la Cineteca di Bologna rende omaggio al grande Maestro con questa mostra-evento.

Labirinto Fellini, che ha l’ambizioso obiettivo di percorrere, nell’enorme patrimonio artistico che Fellini ci ha lasciato, strade nuove e inedite, si compone di due parti che si integrano vicendevolmente.

La prima curata da Sam Stourdzé, dal titolo “La Grande Parata” che, attraverso una selezione di rari materiali, fotografie, spezzoni, disegni, ci restituirà la grande ricchezza e modernità dell’opera di Fellini; l’altra, curata da Ferretti e Loschiavo, sarà una sorta di installazione magica, in grado di portare lo spettatore dentro ai set del grande regista riminese, attraverso una straordinaria esperienza
evocativa.

Are you really sure that a floor can’t also be a ceiling?

04.12.201013.02.2011

Enel Contemporanea 2010

a cura di Francesco Bonami

Promossa da Roma Capitale, Assessorato alle Politiche Culturali e della Comunicazione – Sovraintendenza ai Beni Culturali

Organizzazione
Progetto esecutivo: Arch. Marco Della Torre
Consulenza Scientifica: Prof. Enzo MorettoButterfly
Arc: Casa delle Farfalle di Montegrotto Terme – Eseapolis Grande Museo Vivente degli Insetti della Provincia di Padova
Coordinamento e produzione progetto: h+

Con la collaborazione di MACRO

Una casa popolata da centinaia di farfalle ispirata alla celebre Farnsworth House di Mies van der Rohe e realizzata dagli artisti Bik Van der Pol. Con questa opera si inaugura ufficialmente la nuova ala del Museo.

Il progetto di Bik Van der Pol, appositamente pensato dagli artisti per gli spazi del nuovo MACRO – Museo d’Arte Contemporanea Roma, si inserisce nell’ambito della partnership che dallo scorso anno vede Enel affiancare e sostenere il Museo, con l’obiettivo di creare sinergie virtuose tra pubblico e privato nella promozione dell’arte contemporanea in Italia.

“Are you really sure that a floor can’t also be a ceiling?” (Sei davvero sicuro che un pavimento non possa essere anche un soffitto?) – questo il titolo dell’opera tratto da una citazione di “Escher” – è stata premiata lo scorso marzo da una giuria internazionale quale opera vincitrice dell’Enel Contemporanea Award 2010, quarta edizione del progetto promosso da Enel che quest’anno, nella rinnovata formula del “premio ad inviti”, ha visto un Comitato Scientifico composto da curatori e critici di profilo internazionale invitare sette artisti provenienti da diversi Paesi. Ciascuno è stato chiamato a presentare un’opera inedita sul tema dell’energia appositamente pensata per i nuovi spazi del MACRO, mentre una giuria formata da personalità di spicco del mondo dell’arte e della cultura ha decretato il progetto vincitore.

In Are you really sure that a floor can’t also be a ceiling? (Sei davvero sicuro che un pavimento non possa essere anche un soffitto?) gli artisti riflettono sul rapporto tra uomo e natura, sensibilizzando il pubblico sulla necessità di comportamenti eco-sostenibili con un’opera altamente simbolica, che racchiude il cuore pulsante e vitale del nuovo Museo. Un battito d’ali per il futuro. Un’architettura dentro l’architettura che, fino al 16 gennaio 2010, vedrà i magnifici spazi progettati dall’architetto Odile Decq dialogare con la struttura ideata da Bik Van der Pol, liberamente ispirata alla celebre icona dell’architettura modernista: la Farnsworth House realizzata nel 1951 da Mies Van der Rohe proprio pensando al rapporto ideale tra uomo e natura. Qui, centinaia di farfalle variopinte troveranno il loro habitat naturale grazie alla collaborazione scientifica con il Centro ButterflyArc del Professor Enzo Moretto, per ricordarci come un battito d’ali possa cambiare il mondo e come ogni piccolo gesto possa avere conseguenze più grandi. Il pubblico potrà accedere liberamente all’interno dell’opera rispettando un numero massimo di persone presenti contemporaneamente nella struttura a tutela del microclima idoneo per le farfalle.

La riflessione degli artisti si sviluppa simbolicamente a partire dalle farfalle, considerate oggi tra le specie più sensibili ai cambiamenti climatici tanto da essere reputate un vero e proprio indicatore relativo alle condizioni ambientali. Nell’era della globalizzazione crescente, non sono solo le economie, i mercati finanziari, le nazioni e i popoli a diventare sempre più connessi l’uno all’altro in modo dinamico. Anche il sistema ecologico globale, la biosfera che integra tutte le forme viventi e le loro relazioni e interazioni sul pianeta, sono influenzati dal continuo aumento delle attività umane. Negli ultimi anni vi è stata una progressiva accresciuta consapevolezza su questi temi e sull’impatto che possono avere i comportamenti delle persone posso avere. Il concetto di effetto farfalla, tratto dalla teoria del caos, ci spiega in questo senso come piccole azioni e variazioni minime, ad esempio il battito d’ali di una farfalla, possano produrre cambiamenti significativi su scala più ampia.

Anche la scelta, da parte degli artisti, di ispirarsi alla celebre Farnsworth House non è casuale. Nel 1951 Mies van der Rohe concepì l’edificio, con le sue grandi pareti trasparenti, quale riparo architettonico interno-esterno, al contempo indipendente dalla natura e ad essa connesso. La casa fu costruita accanto a un fiume. L’architetto aveva calcolato la crescita prevista del fiume, concependo l’alzato su due pali in modo tale che potesse resistere a eventuali inondazioni. Tuttavia, negli ultimi 60 anni, a causa di una maggiore urbanizzazione dell’area circostante, per ben sei volte le acque hanno raggiunto il livello dell’alzata danneggiando l’interno dell’edificio.
Ecco dunque come questa straordinaria icona dell’architettura modernista si possa unire simbolicamente al volo delle farfalle nell’opera di Bik Van der Pol per farci riflettere sui cambiamenti in atto e sull’urgenza di adottare comportamenti eco-sostenibili.

«I lavori di Bik Van der Pol sono sistematicamente legati alla creazione di nuove forme architettoniche, ricorrendo spesso a costruzioni temporanee che offrono nuovi spazi di interazione pubblica. I loro progetti lasciano testimonianze di riflessione che rimangono nel tempo nelle comunità in cui vengono realizzate. Questo effetto a lungo termine amplifica l’importanza degli interventi artistici portandoli a divenire una vera e propria risorsa che stimola l’immaginazione collettiva e la riflessione critica nella società» (Hou Hanru).

Liesbeth Bik e Jos Van der Pol lavorano e collaborano con il nome Bik Van der Pol dal 1995. Le loro opere invitano il pubblico a ripensare ai luoghi, alla loro architettura, funzione e storia. Esplorano le potenzialità dell’arte di produrre e trasmettere conoscenza, così come di creare momenti di comunicazione. Tra i progetti e le mostre più recenti annoverano: la Biennale di Istanbul; la mostra Volksgarten alla Kunsthaus Graz; Plug In presso il Van AbbeMuseum di Eindhove; Models For Tomorrow alla European Kunsthalle di Colonia; la Biennale di Mosca (2007); Fly Me To The Moon, al Rijksmuseum di Amsterdam; Naked Life, MOCA, Taipei (2006); Secession, Vienna; Cork Caucus Cork (2005); Nomads in Residence, uno spazio di lavoro itinerante per gli artisti, Utrecht (2003, con gli architetti Korteknie/Stuhlmacher). Hanno inoltre realizzati diverse pubblicazioni fra cui: Catching Some Air (2002), With Love From The Kitchen (2005), la serie in corso Past Imperfect (2005, 2007), Fly Me To The Moon (2006) e The Lost Moment (2007).